L’ultimo ballo, poi via le “Luci”: la carriera dello storico capitano del Livorno, Andrea

La carriera di un uomo, prima che calciatore, devoto per sempre all’amaranto del Livorno: Andrea Luci
“Te lo ricordi, bimbo mio, quello con la fascia al braccio che correva sempre con la testa alta e il cuore in mano? Quello che non mollava mai, nemmeno quando il mondo sembrava volerci portare via tutto? Quello era Andrea. Andrea Luci.“
Comincerebbe sempre così, il racconto del nonno al suo nipotino livornese. Seduti su una panchina, davanti a quel mare che parla la stessa lingua del cuore amaranto. Perché parlare di Andrea Luci a Livorno è come raccontare di un figlio, di un fratello, di un amico che hai avuto accanto per tutta la vita.
Andrea non è nato a Livorno, è vero. Ma come succede per certe storie d’amore, quelle vere, le radici non contano: conta dove scegli di mettere l’anima. E lui, quell’anima, l’ha piantata in terra toscana. Era il 2010 quando arrivò, e da allora non se n’è mai andato davvero. Ha vissuto la Serie A, la Serie B, le cadute, le rinascite, la sofferenza e l’esaltazione. Sempre lì, con quella fascia al braccio che pesava come il mondo, ma che lui portava con leggerezza, come fosse una seconda pelle.
Andrea Luci ha dato tutto. E quando si dice tutto, s’intende ogni minuto, ogni tackle, ogni corsa, ogni parola, ogni lacrima. Ha scelto Livorno anche quando avrebbe potuto scegliere altro. È rimasto quando il cielo era scuro, quando i conti non tornavano, quando il futuro era un punto interrogativo. È rimasto per amore. Quell’amore che oggi, in questo ultimo ballo, lo accompagna mentre saluta.
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Ha deciso di dire basta. Lo ha fatto col cuore gonfio, certo. Ma con la stessa dignità con cui ha sempre onorato il campo. Non servono le coppe per entrare nel cuore della gente. Serve l’anima. Andrea ce l’ha messa tutta. In 14 anni di Livorno, ha giocato più di 400 partite. Ma non sono i numeri a parlare per lui. Sono i silenzi negli spogliatoi, le urla in campo, le mani battute sul petto, le esultanze sotto la curva. Sono le cicatrici nascoste dietro ogni tackle. Sono le lacrime mai mostrate, ma sempre sentite.
“La promozione in Serie C era il traguardo che mi ero promesso di raggiungere tornando qui – ha detto con voce rotta dall’emozione – e sono felice che ci siamo riusciti. Volevo chiudere con qualcosa di grande, e credo che vincere un campionato sia il modo più bello per salutare da calciatore. È arrivato il momento di lasciare spazio agli altri: ora tocca a loro portare avanti questo amore”.
Ma, come in ogni favola che si rispetti, un addio non è mai davvero la fine. Andrea guarda già avanti, e lo fa con la solita umiltà e il solito spirito di servizio che lo hanno reso eterno nel Livorno: “Ho iniziato a parlare con la società, ci confronteremo nei prossimi mesi per capire se ci sarà un futuro insieme anche fuori dal campo. Mi piacerebbe dare una mano dove serve, magari nel settore giovanile. Dobbiamo ricostruire quello che negli anni abbiamo perso, riportare i giovani di Livorno a vestire l’amaranto. Ma vedremo“.
L’ultimo ballo non spegne la luce. La accende in eterno, nel cuore di chi ama questa maglia, per chi come Andrea Luci, anche se di Livorno non è, sarà per sempre, bandiera amaranto.
