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Dalla Tritium all’esordio in Champions League: alle origini di Berenbruch

Thomas Berenbruch, Inter (credit: Martina Cutrona)

Vi ricordate la splendida annata 2005 fiore all’occhiello del settore giovanile della Tritium? Vi avevamo raccontato di Dominic Vavassori, protagonista in Serie C con l’Atalanta U23 e nell’orbita della prima squadra di Gasperini.

Ma se vi dicessimo che uno di loro ha appena esordito in Champions League? Parliamo di Thomas Berenbruch dell’Inter, mandato in campo da Simone Inzaghi nel finale del ritorno degli ottavi di finale contro il Feyenoord.

La lunga strada che l’ha portato a quella splendida notte è partita proprio da Trezzo sull’Adda: “Ha fatto due stagioni da noi, 2015/16 e 2016/17. – ha raccontato ai microfoni di Gianlucadimarzio.com Valerio Colace, allora suo allenatore – Tutta l’annata 2005 era veramente importante, praticamente tutto il gruppo era osservato da società professionistiche. Lui era seguito anche dall’Atalanta. Poi, forse per vicinanza da casa, è andato al Renate“.

Un talento da sempre, di quelli naturali e cristallini: “Lui era molto talentuoso, ma all’epoca non aveva espresso ancora tutto il suo potenziale. Secondo me doveva ancora svilupparlo e crescere ancora. Era molto valido: mancino, grande inserimento, un motorino perpetuo. Ma forse non credeva neanche lui in sé stesso, giocava giusto per divertirsi e le cose gli venivano naturali“.

Il sorriso di Berenbruch

Se c’è una cosa che caratterizza ancora oggi Berenbruch, quella è il sorriso: “Era un bambino che potremmo chiamare modello, solare e sorridente. Ha una ‘r’ particolare e c’era un gruppo talmente bello che lui in primis ci rideva su. Arrivava al campo sorridente e andava via sorridente. Nelle vecchie foto lui è sempre lì che sorride, felice di fare quello che fa“. Ma quel bambino così solare, in campo non faceva sconti: “Sono stati anni straordinari. In quelle due stagioni abbiamo vinto tanto. Riguardavo le foto di tornei vinti e di una finale persa contro il Vicenza 1-0, con tutto il gruppo demotivato quasi come se avessimo perso male. Quel torneo lo abbiamo fatto contro tutte società professionistiche e siamo arrivati in finale. Erano esordienti primo anno, tutti piccolini, ma c’era molta unità di gruppo. Forse è stato quello il momento in cui tutti questi talenti sono stati messi in vetrina“.

Il suo futuro sarà in maglia nerazzurra, ma quella del Renate. Per andare all’Inter dovrà aspettare ancora: “Non so perché non sia andato direttamente all’Inter. Lui però si è sviluppato tardi rispetto agli altri bambini, era più piccolo e più minuto. Devo essere sincero, all’interno di quella nidiata di giocatori importanti non spiccava più di tanto. Aveva delle buone doti, ma la sua qualità maggiore era la continuità. Partiva a 100 all’ora e finiva a 100 all’ora. Però non aveva strappi o giocate funamboliche, non era uno che rubava più di tanto l’occhio. Poi è cresciuto e ha messo insieme tutti gli insegnamenti appresi nei settori giovanili di Renate e Inter, che gli hanno fatto fare lo step successivo. Ci avrei scommesso che di quell’annata tutti sarebbero arrivati, ma così in alto non pensavo. Mi auguro che arrivi a fare cose ancora più importanti“.

Thomas Berenbruch in una foto di squadra ai tempi della Tritium

L’importanza della famiglia

Nei successi del giovane Thomas, un ruolo fondamentale è quello della famiglia: “Ha fatto la differenza. Una famiglia ineccepibile, d’oro, che non gli ha mai fatto alzare troppo la cresta e l’ha tenuto coi piedi per terra. Sia il papà che la mamma sono super educati e anche quando veniva premiato come miglior giocatore nei tornei erano quasi in imbarazzo per i premi che riceveva. Il padre non aveva la benché minima ambizione, se non quella di farlo divertire. La madre era addirittura titubante di fronte a un percorso nei professionisti, perché sarebbe aumentato l’impegno e la scuola era importante“. E anche grazie a loro è arrivato fino alla prima squadra dell’Inter: “Thomas non è mai stato uno che si monta la testa o che crede che le cose siano facili. Lui è uno che ha costanza. Non ha mai fatto prestazioni da 8.5 in pagella, ma ha sempre fatto quel 6.5/7 costante che alla fine ha pagato. Si è messo in gioco e si è ritagliato uno spazio negli allenamenti con la prima squadra. E quando ti alleni con i campioni è diverso dall’allenarsi con calciatori magari di Serie C“.

E, se il suo percorso in prima squadra è appena iniziato, nella Primavera nerazzurra è spesso il capitano: “Nel mio gruppo non era lui il capitano, anche perché veniva al campo per divertirsi e non aveva la spinta per trascinare e prendersi sulle spalle il gruppo. Questa era la cosa che gli mancava. Ciò che ha fatto è stato prendere coscienza delle sue qualità. Ricordo che a 9 anni tirava da 20 metri alzandola con facilità e mettendola all’incrocio, poi aveva passaggi che vedeva soltanto lui“. Ma a fare davvero la differenza è stato un ambiente che gli permetteva di sorridere: “Nella mia scuola calcio lo faccio scrivere a chiare lettere: ‘lasciate divertire i figli’. Se sono talenti verranno fuori, se non lo sono almeno si divertiranno. Mettere pressione poi porta a smettere di giocare. Tutti i ragazzi che da qua sono arrivati tra i professionisti avevano famiglie che non mettevano nessuna pressione“.