Luci, l’amore per il Livorno e quel match al fianco di Totti
Che cos’è Andrea Luci per il Livorno? Spiegarlo è difficile, se non impossibile. È un po’ come l’amore che prova ogni bambino nei confronti della mamma, o un gol al Maradona con la maglia del Napoli per un napoletano, oppure la Champions League a maggio per il Real Madrid. Sarebbe possibile provare a racchiudere Luci in amaranto con innumerevoli parole. Appassionato, oltre la categoria, innamorato. Ma non si può spiegare. Andrea Luci è silenzio e riservatezza, lavoro e determinazione. Infinito, un po’ come quel numero otto che è tornato sulla sua maglietta. Noi abbiamo deciso di fare un viaggio nel lungo alfabeto del centrocampista amaranto. Un salto per le categorie che parte dalla Serie A ed arriva fino all’Eccellenza. Cambiano gli scenari, aumenta la passione. Parola di Andrea Luci.
I primi passi nel Salivoli e la Fiorentina
La prima maglia che Andrea Luci indossa è del Salivoli. Quella vicino casa però fu un’esperienza breve, dato che ad appena undici anni il ragazzino venne chiamato direttamente da Firenze per giocare con i viola sotto l’ombra di Santa Maria in Fiore. “Io ero tifoso della Fiorentina. Anche se avevo 11 anni ho un ricordo vivo e netto. È stato un bel percorso. Peccato soltanto per il fallimento della società che ha messo il punto alla mia esperienza con la maglia viola. Poi sono passato alla Juventus. A Torino sono cresciuto tanto sia dentro che fuori dal campo, c’erano delle regole ben precise. Con la Primavera vincemmo due Tornei di Viareggio. Tuttavia, una volta arrivato lì non sei ancora un giocatore affermato. Ci sono tanti fattori. Io sono partito da Sassari, poi ho giocato a Pescara. Soltanto dopo quell’esperienza ho capito che avrei fatto il calciatore”.
Benvenuto tra i grandi, Andrea Luci . La Torres ed il Pescara
Così, dopo la Juventus per Andrea Luci, appena ventenne, arriva il momento di fare il primo passo tra i grandi. La Torres accoglie il ragazzo assieme a Bartolucci, suo compagno di squadra dai tempi della Fiorentina e della Juve. “Bartolucci è stato con me a Firenze, Torino e poi a Sassari. Per lui non era la prima, era già stato a Crotone. Non giocai molto la prima parte di stagione. Avevo solo venti anni e l’impatto non fu molto facile. Ci misi un po’ a capire le dinamiche. Poi giocai 22 partite e trovai il giusto ritmo”.
Nel percorso di crescita di Andrea Luci c’è anche lo stadio Adriatico. In questo periodo il centrocampista viene allenato da Ballardini e gioca al fianco di Daniele Vantaggiato, nome che tornerà in futuro nella sua carriera. “Sì, è a Pescara che ho conosciuto Daniele. Quell’anno la squadra non raggiunse la salvezza. Calammo definitivamente nelle ultime partite. I rinforzi di gennaio ci aiutarono molto, ma non riuscimmo a mantenere la categoria”.
Gli anni ad Ascoli e la chiamata del Livorno
Prima dell’amaranto, Andrea Luci si ferma per tre anni nelle Marche. La città è Ascoli ed il giocatore riesce ad ambientarsi diventando un pilastro della squadra. “Anche ad Ascoli ho giocato tanto e sono stato veramente bene. La città ed i compagni erano fantastici e riuscii ad ambientarmi molto bene, poi però arrivò la chiamata del Livorno”. La chiamata del Livorno. Il mare che dopo i primi anni nel Salivoli torna ad essere lo sfondo della sua carriera. Un arrivo in silenzio, quasi in punta di piedi, che ha permesso ad Andrea di entrare subito nel cuore della tifoseria. “La prima immagine di Livorno? Eh, tornai vicino casa dopo tanti anni. Fu emozionante, tanti miei amici erano tifosi del Livorno. Vederli in curva mi faceva un certo effetto. Sentii subito che avevo sulle spalle delle responsabilità diverse, più grandi. Il pubblico di Livorno capisce quando dai tutto. A quel punto puoi anche sbagliare tre passaggi, ma se sudi per la maglia e dai tutto cominciano a volerti bene. Io lo facevo e forse è per questo che riuscii ad entrare presto nel loro cuore”.
L’amicizia tra Andrea Luci e Piermario Morosini
Nel secondo anno di Andrea Luci a Livorno, arriva una tragedia che nessun compagno di squadra vorrebbe mai vivere. La scomparsa di Piermario Morosini lasciò un vuoto incolmabile nello spogliatoio e nell’ambiente amaranto. 10 anni dopo quel pomeriggio dell’Adriatico, lo stesso prato sul quale Luci giocava con il Pescara qualche anno prima, il ricordo di Piermario Morosini è sempre acceso. Nella mente di Andrea, per le strade della città e allo stadio Armando Picchi, dove una gradinata che porta il suo nome osserva, quasi proteggendolo, il campo. “Piermario era arrivato da pochissimo, ma si era ambientato bene nel nostro gruppo. Nel pullman era il mio compagno di posto, ci avevo legato. È stato il giorno più brutto della mia vita. Perdere un compagno mentre stai giocando una partita è una cosa che non auguro a nessuno. In un momento come quello ti rendi conto ma non vuoi accettarlo. Pensi che non possa mai succedere una cosa del genere. Credevamo che dopo qualche minuto Piermario si sarebbe risvegliato, non volevamo pensare al peggio. Dopo quella partita naturalmente non riuscimmo più a vincere, ci salvammo all’ultima giornata, ma ancora oggi non so come. Fu veramente dura arrivare alla salvezza.”
Luci a San Siro
Carisma, determinazione e gruppo. Mescolando questi tre ingredienti, è possibile ottenere il profilo di Davide Nicola. L’allenatore, oggi in A con la Salernitana, nella stagione 2012/2013 lasciò il segno all’Armando Picchi portando il Livorno nella massima serie. Siligardi, Paulinho, Dionisi ed Andrea Luci. Qualità e forza del gruppo, elementi che guidarono gli amaranto a battere l’Empoli di Sarri nei playoff. Luci a San Siro. “Davide Nicola creò un’alchimia unica nello spogliatoio. È l’allenatore che sicuramente ha lasciato di più il segno nella mia carriera. Quell’anno c’erano squadre molto più forti di noi. Ma sin dall’inizio trovammo un’unione con tutti i compagni di squadra che portò a fare dei risultati che nessuno avrebbe pensato. Poi, quando a dicembre eravamo al vertice, cominciammo a crederci sempre di più. Giocare in Serie A fu l’apice della carriera. Nicola riuscì a darmi moltissimo. Arrivare ad affrontare giocatori come Francesco Totti è stata un’emozione indescrivibile. Contro il Cagliari feci anche il mio primo gol, peccato poi che sempre contro il Cagliari al ritorno mi infortunai al ginocchio.”
Un anno in cui il Livorno retrocesse, con tanti cambi di allenatore in panchina. “Poteva essere fatto qualcosa in più. Le potenzialità per salvarci c’erano. Sono stati commessi tanti errori, fino a febbraio eravamo in corsa per la salvezza. Purtroppo, alla fine non ci riuscimmo. Una fotografia di quel campionato? Sicuramente la prima partita contro la Roma. Prima di entrare in campo tenevo la mano a mio figlio ed accanto a me c’era Francesco Totti. Quell’immagine non me la scorderò mai”.
La retrocessione in Serie C, Lucarelli e Breda
È il 2016. Sono passati soltanto due anni dalla retrocessione in Serie B del Livorno. Tuttavia, le cose per gli amaranto cominciano ad andare per il verso sbagliato ed Andrea Luci, assieme ai compagni, retrocede in C all’ultima giornata. “In quegli anni si stava già rompendo qualcosa all’interno della società. C’erano tanti problemi che portarono a fare delle scelte sbagliate. Quando non vengono fatte le cose nel modo giusto è il campo che parla. Dal mio punto di vista, non c’era un’organizzazione totale da parte dei vertici, dai campi al settore giovanile”.
Il Livorno in Serie C resterà per due anni, per fare poi ritorno in B. In quel momento, sulla panchina amaranto arrivò Cristiano Lucarelli. “Mi ricordo il derby contro il Pisa, c’era lo stadio pieno e fu una sensazione unica. Lucarelli? Purtroppo in quel periodo in B vincemmo soltanto una partita e quando non arrivano i risultati il primo a rimetterci è sempre l’allenatore. Cristiano sta comunque dimostrando le sue qualità da allenatore. Se è lì vuol dire che le potenzialità le ha. Poi arrivò Breda e fu anche un periodo in cui Diamanti ci risolse tante partite. Ci compattammo sempre di più e arrivammo a giocarci la salvezza alle ultime giornate. La vittoria di Verona al Bentegodi ci permise di accendere sempre di più la speranza della salvezza diretta, evitando i playout.”
A fine stagione però, lo stesso Breda assieme alla società decide di non riconfermare Diamanti e Valiani, due pedine che avevano guidato il Livorno alla salvezza. “Non prendemmo bene quella scelta nello spogliatoio. Semplicemente perché Diamanti poteva fare la differenza in qualsiasi momento e perderlo non ci aiutò”.
Dopo dieci anni, Andrea Luci saluta Livorno
10 anni dopo il suo arrivo a Livorno, le strade del club e di Andrea Luci si separarono per scelte della società. Una vita in amaranto, in un saluto che in quel momento sapeva soltanto di addio. E così, cominciò l’esperienza a Carrara con Baldini in panchina. “Da quando è finita la pandemia non ci sono stati più rapporti con la società. Da marzo in poi non credevano più nella salvezza. Acquistarono giocatori che non conosceva nessuno per rimandarli via dopo un solo mese. Scelte che ci fecero arrivare ultimi. Lasciare il Livorno non fu la mia volontà. Io provai fino alla fine a rimanere, ma quando capii che la società non voleva non potevo fare altrimenti. O smettevo di giocare o trovavo un’altra soluzione. Non pensavo di tornare a Livorno da giocatore. Volevo tornarci da dirigente, quello sì. Fortunatamente trovai a Carrara la dimensione giusta per me con Baldini. La Carrarese è tutt’oggi una società che lotta sempre per un obiettivo ben preciso, salvezza o playoff che siano”.
Il ritorno a Livorno
Gli anni passano e dal mare alle Apuane arriva una notizia: il Livorno riparte dall’Eccellenza dopo il fallimento societario. Andrea Luci intanto, porta al braccio la fascia da capitano. “In quel momento pensavo di rimanere a Carrara. Ero capitano ed ero dentro un progetto importante. Non è stato facile venire via, a Carrara mi hanno dato tanto e mi hanno accolto benissimo sin dal primo momento. Quando ho ricevuto la chiamata del Livorno ci ho pensato molto, ma sono stato un anno e mezzo a Carrara senza la famiglia e avevo bisogno di tornare anche per loro. L’Eccellenza? È stato il campionato più difficile della mia carriera, davvero. Non sono mai riuscito a comprendere a pieno il gioco della categoria. Nel girone della Poule Promozione siamo arrivati terzi perché non siamo stati una squadra unità e con un’identità precisa. Abbiamo incontrato squadre più organizzate di noi e abbiamo perso. A Pomezia, prima della finale, sapevamo che avremmo trovato un ambiente difficile. Anche lì non siamo mai entrati in campo. A mio avviso, è mancata ancora l’organizzazione di una squadra unita”
La prima volta
C’è una prima volta anche se sul curriculum porti la Serie A e sei stato il capitano di una squadra per più di 10 anni. Andrea Luci contro il Flaminia Civitacastellana giocherà per la prima volta in un campionato di Serie D. L’alfabeto si è completato ed il record di 369 presenze detenuto da Mauro Lessi si avvicina. “Record di presenze? Il pensiero c’è sicuramente (Luci attualmente è a 317, ndr). L’obiettivo principale però è quello di smettere soltanto dopo aver riportato il Livorno tra i professionisti. Aver giocato tutte queste categorie mi rende orgoglioso. La maglia del Livorno per me è una seconda pelle, davvero. Non potevo non scendere nei dilettanti, la chiamata era troppo importante. Domenica farò il primo passo in Serie D. Devo dire che comunque sono emozionato, come sempre in fondo quando inizia un campionato nuovo. Noi siamo pronti, abbiamo diversi infortunati ma sono convinto che possiamo partire bene”. Gli amaranto hanno l’opportunità di aprire il secondo capitolo della propria rinascita nel Lazio, regione in cui lo scorso giugno ha perso la finale contro il Pomezia. Spiegare la figura che Luci rappresenta a Livorno è difficile, se non impossibile. Intanto, Andrea è pronto a scendere in campo con quella maglia numero otto sulla schiena. Ancora una volta. Come se fosse la prima.
A cura di Jacopo Morelli