“Appena ho iniziato a giocare a calcio il mio sogno principale era poter guadagnare quanti più soldi possibili per mia madre. Era un modo per ringraziarla per tutti i sacrifici che ha fatto per me e mia sorella”. Comincia così la nostra telefonata a Benjamin Mokulu, attaccante dello United Riccione. Tono della voce strozzato dall’emozione che subito ci fa capire quanto il ragazzo nativo di Bruxelles tenga alle sue radici e alla sua famiglia. “Quando ho debuttato con i professionisti, vedere la gioia nei suoi occhi mi ha fatto capire che stavo facendo qualcosa di bello e che ero sulla strada giusta“.
“Ho cominciato a giocare a calcio all’età di 13 anni, quindi relativamente tardi rispetto alla media. Fin da subito mi hanno fatto notare che avevo abbastanza qualità: inizialmente, non era il mio obiettivo principale diventare calciatore. Ancora non mi rendevo conto della fortuna che avevo: debuttare così giovane nella Serie A belga, pensavo fosse tutto normale. Vivevo la mia quotidianità giorno per giorno, mi allenavo ma uscivo comunque con i miei amici. Poi con l’Ostenda mi sono dovuto allontanare da casa e dalle mie abitudini: da quel momento ho capito cosa significa davvero essere un professionista a 360°. Nonostante questo, sono sempre rimasto umile e con i piedi per terra”.
“In Belgio, il calcio è vissuto come un semplice gioco: ci si allena in settimana, si gioca nel weekend e poi si torna a casa. In Italia, invece, è concepito più come un vero e proprio lavoro. Se non vinci la società e i tifosi si fanno sentire, ti vogliono far tirare fuori il meglio. Ci sono più regole alle quali bisogna attenersi e ci si concentra molto di più sulla tattica e sugli schemi. Se passeggi per le strade di Ostenda o Bruxelles la gente ti saluta ma nessuno ti ferma per chiederti un autografo o un selfie come accade in Italia. Si tratta di due culture totalmente differenti”.
Quella che sarebbe dovuta essere una semplice tappa della propria carriera è diventata casa. Una chiamata dal proprio procuratore e un contratto da firmare: “‘C’è una squadra italiana in Serie B che mi ha chiesto di te: si tratta dell’Avellino’. Io non conoscevo nulla del campionato ma in quel periodo le cose in Ligue 1 con il Bastia non stavano andando nel migliore dei modi. Mi sono informato e mi sono detto ‘Dai, proviamo!'”
Tre anni fa sono tornato nella mia città per stare con la mia famiglia ma volevo tornare in Italia a tutti i costi. Durante quel periodo sono stato lontano dai campi per un anno per squalifica – causa doping per una sostanza trovata in una pomata – e ho pensato fosse meglio ricominciare da zero. Ripartire dalla Serie D, ritrovare la giusta dimensione per poi riprovare tra i professionisti con la squadra o per merito delle mie prestazioni. Il presidente mi ha contattato personalmente e ho firmato per il Riccione: purtroppo non ci siamo qualificati ai playoff, ma sono stati sei mesi bellissimi. Vedremo cosa ci riserverà il futuro”.
“Il mondo Juventus? Ho scoperto una realtà alla quale non ero abituato: aver vissuto questa esperienza non ha prezzo”. Non solo U23, il classe ’89 ha avuto l’opportunità di correre sui campi della Continassa sotto la guida di Massimiliano Allegri.
Con un tono quasi imbarazzato, dovuto ancora dall’incredulità per quanto vissuto, Mokulu ci ha raccontato la sua prima volta in bianconero al fianco di Cristiano Ronaldo e Dybala. “Sono sceso in campo, mi sono guardato attorno e ho pensato ‘Ma sono davvero in campo con loro? Un ragazzo di Bruxelles che si allena con i migliori giocatori del mondo?’ Ammetto che mi sono messo a ridere da solo“.
Debutto e gol alla prima da titolare con la maglia della nazionale belga? Chiedere a Benjamin Mokulu. “Giocare e segnare contro la Francia è stato incredibile. Stavamo disputando le qualificazioni per gli Europei U21. Purtroppo non abbiamo passato l’ultima fase: sono convinto, ancora oggi, che se ci fossimo qualificati la mia carriera sarebbe andata diversamente. Ero in un grande periodo di forma“.
“L’infortunio al tendine d’Achille con la Cremonese ha frenato la mia crescita. Dopo un buon inizio di campionato, infatti, nel mese di dicembre ecco che accade l’impensabile. Cremona è una piazza che mi porterò per sempre nel cuore, mi sono trovato a mio agio e tutto l’ambiente mi ha sempre fatto sentire a casa”.
Ancora oggi, nel mondo del calcio stiamo assistendo a scene di discriminazione razziale in qualsiasi categoria. Lukaku, Vlahovic e non solo: purtroppo nell’ultimo periodo anche Mokulu e un suo compagno di squadra sono stati vittime di insulti razziali nel corso della partita di campionato dello scorso 12 febbraio contro il Sant’Angelo. “Il mio compagno di squadra, appena 18enne, ha ricevuto insulti durante tutta la partita e si è messo a piangere. Il quarto uomo li ha sentiti ma non ha fatto nulla, è rimasto impassibile: non concepisco questa cosa. E’ inutile promuovere campagne contro il razzismo se i principali attori sul campo non agiscono“.
Mokulu, però, ci tiene a precisare di non fare di tutta l’erba un fascio. “Sono davvero dispiaciuto: ne stavo parlando qualche giorno fa con un mio amico di Bruxelles. In Europa la gente vede arrivare dall’Italia solo questo tipo di notizie. Io che sono sul territorio italiano posso assicurare che le persone sono meravigliose. L’italiano non è razzista. Io do la colpa alla Federazione che non punisce abbastanza, o per lo meno non come dovrebbe. È impossibile eliminare il razzismo, quello ci sarà sempre ma finché non si daranno punizioni consone non si finirà mai”.
Non è mai troppo tardi per raggiungere i propri obiettivi. Mokulu ne ha prefissato uno al quale non può e non vuole rinunciare. “Qualche anno fa ho conseguito il certificato per poter diventare personal trainer. E’ un mondo che mi affascina: mi piace dare consigli agli altri. Durante il mio anno di squalifica ho cominciato ad allenare, prima ragazzi e bambini poi ho anche alcuni calciatori professionisti. E’ una cosa che voglio sicuramente portare avanti. Sono sicuro che sarà il mio futuro“.
Una carriera costruita da zero – Partito con un sogno, Mokulu ha preso coscienza di ciò che sarebbe potuto diventare e non ha sprecato la sua occasione. Sacrifici e insidie sono sempre state dietro l’angolo ma inevitabilmente fanno parte di un percorso di crescita che l’hanno portato ad essere l’uomo – prima del calciatore – che è oggi.