Partenza positiva da parte della Cavese in questa prima fase del campionato, nonostante il girone I di Serie D sia davvero complicato. I metelliani di quest’anno, però, sono: “Una squadra costruita per vincere”. Queste le parole di Pino Ferazzoli, allenatore dell’ambiziosa (e storica) Cavese, in esclusiva a SerieD24.com.
“Sarà un campionato lungo e difficile – ammette Ferazzoli – ma sono sicuro che questi ragazzi sapranno arrivare fino in fondo alla competizione per poterla vincere”.
Arrivare a firmare per un club con un progetto ambizioso e una notevole storia fa sempre un certo effetto. Testimone proprio l’allenatore romano: “Quando mi chiamò la Cavese ero felice come un bambino, l’ho sentito come un giusto riconoscimento a livello personale, dopo un ottimo campionato sulla panchina della Gelbison”.
“In una categoria come la Serie D ritengo che la Cavese abbia la precedenza su tutti, per i tifosi, la società, la piazza, che è importantissima e soprattutto molto esigente. Cava è una piazza che vuole subito i risultati, cosa che vale per ogni piazza grande. Basti pensare a Bari, Taranto, Palermo negli ultimi anni. In società come queste il tuo nemico numero uno è il tempo”.
Una cosa che, però, sembra mancare attualmente alla Cavese è la spinta dei suoi tifosi, tassello chiave per qualunque squadra: “Abbiamo cominciato la stagione ereditando le scorie della scorsa annata. Non abbiamo ancora ricevuto l’affetto dalla nostra Curva. Il loro affetto e calore li conosciamo solo attraverso i racconti ma non abbiamo ancora avuto modo di constatarlo personalmente”.
“Siamo attaccati ai risultati”, è la confessione di Ferazzoli, in merito al modo in cui lo spogliatoio vive la distanza con i tifosi. In più, però, l’allenatore precisa: “Siamo praticamente tutti nuovi: allenatore, direttore, giocatori, non c’è nessuno dell’anno scorso. Quando non vinciamo sentiamo il bisogno di riscattarci già la domenica successiva, il che è un vantaggio dato che ciò non permette relax. È anche vero, però, che le critiche agli errori durante la partita si sentono e possono risultare pesanti”.
Di esperienza Ferazzoli ne ha da vendere. 19 anni passati ad allenare. Tra questi, 13 mesi tra il 2016 e il 2017 hanno un sapore particolare, da Serie A: “Quando mi ha chiamato a Udine ho avuto la fortuna di conoscere una società organizzatissima, credo ce ne siano pochissime di società come l’Udinese. Ho provato l’ebrezza di stare vicino a grandi giocatori, dove tutto quello che viene fatto è estremamente professionale”.
“Già da calciatore ho avuto la fortuna di giocare in Serie A (solo un campionato, nel 1993/94 con il Piacenza, ndr), ho esordito contro il Milan e segnato un solo gol (contro il Foggia, ndr): ho realizzato i sogni di bambino, quando facevo gol tra i palazzi della Magliana. Da allenatore, poi, un ricordo indelebile fu ritrovarmi in panchina in un pareggio per 1-1 contro la Juventus, perché venne espulso Delneri”.
Parlando ancora del suo passato in Serie A, Ferazzoli ha raccontato il Delneri collega a Udine: “È simpaticissimo, ama le barzellette. Con noi c’era Gianfranco Cinello, oggi secondo di Colantuono alla Salernitana, che raccontava benissimo le barzellette. Ci divertivamo tantissimo tutti insieme. Gigi in televisione può apparire poco socievole, invece è un grande ‘compagnone’ e soprattutto è un grande professionista. Non dimentichiamoci che il ‘Chievo dei miracoli’ è opera sua, ha allenato la Juve, la Roma, il Porto, tra le altre”.
“Dopo circa un mese, a Delneri venne la febbre – ricorda ancora Ferazzoli – e accadde che mi ritrovai da solo in campo per una rifinitura prima della Sampdoria. Ero uno sconosciuto, mai allenato in Serie A: in un momento simile devi saper tenere in pugno la situazione. In quel momento mi sentii diventare parte integrante dell’Udinese”.
Così, Ferazzoli ha sperimentato un ruolo nuovo: “Essere vice non è semplice, non è come essere l’allenatore in prima. Il vice è anche un tramite diretto tra i giocatori e l’allenatore, qualcuno con cui il calciatore si confida. L’allenatore in seconda deve anche essere bravo a capire cosa può e cosa non deve dire all’allenatore”.
“Dopo la fine dell’esperienza Udinese, Gigi mi ha chiesto di aspettarlo per eventuali nuove chance – ha confessato l’allenatore romano. L’ho aspettato un anno e mezzo, era nata anche la possibilità di allenare qualche nazionale estera ma non se n’è fatto più niente. Più avanti, scelsi l’Agropoli ma non mi trovai bene con la società: non avevano la mia stessa idea di calcio. Diedi le dimissioni dopo 8 partite. Pensavo di aver perso un altro anno. In più arrivò il Covid”.
Infine, l’anno scorso, una svolta positiva: “Il 3 giugno 2020 ebbi la chance della Gelbison: accettai volentieri per le voci che mi arrivarono, su una società seria che aveva un progetto convincente. L’anno scorso abbiamo fatto molto bene: terzo posto e record di punti, ben 66. Purtroppo niente Serie C. Auguro al club di arrivarci, ma glielo auguro dall’anno prossimo”, ha chiuso sorridendo Ferazzoli, lanciando la sfida al suo passato con la sua Cavese.
A cura di Lorenzo Gentile.