Guaratinguetá, comune del Brasile situato nel vastissimo Stato di San Paolo. Qui, nel lontano 1984, nacque Felipe Dias da Silva Dalbelo, meglio noto come Felipe Dal Bello. Proprio sul suo cognome ci sarà da sbizzarrirsi, perché sarà il brasiliano stesso a svelarci numerosi aneddoti a riguardo.
Di cittadinanza italiana grazie alle origini del bisnonno padovano, Felipe è noto per le sue caratteristiche difensive: difensore centrale possente, abile nell’anticipo, nel gioco aereo e negli inserimenti, dotato anche di un ottimo piede mancino che spesso e volentieri si è rivelato un arma preziosa.
Ha iniziato col calcio a cinque, ma l’Udinese come spesso capita ci ha visto lungo e se lo è assicurato non ancora maggiorenne. Poi una lunga carriera tra Fiorentina, Parma, Cesena, Siena ed Inter, con in mezzo anche numerose avventure in Champions League dove tra le altre cose ha realizzato anche un gol di grande prestigio. Adesso, a 38 anni, è in Serie D per sua scelta, ma sul futuro ha le idee piuttosto chiare.
Curiosità? Ce ne sono tante, è stato lui stesso a svelarcele. Quel Bayern Monaco-Fiorentina che i tifosi viola ancora oggi ricordano in modo negativo, quel piattone in area di rigore contro il Barça, e anche un piccolo retroscena di mercato perché, a quanto pare, l’Udinese era andata in Brasile per un altro giocatore..
L’approccio con il pallone non è stato in un campo da calcio dove si gioca 11 vs 11, bensì nel calcio a 5 dove Felipe gioca fino all’età di 13 anni: “Ricordo tutto con molta felicità perché poi in Brasile si gioca a calcio già da piccoli. Di fronte casa avevo prima un campo e poi una piazza che è diventato un campetto dove tutti i ragazzi si ritrovavano. E’ stato un divertimento finché non ho esordito in prima squadra con l’Udinese. Non ho mai avuto l’ambizione di diventare un calciatore. Giocavo perché mi divertivo”.
Per Felipe arriva la prima grande chiamata. Ecco l’Udinese. A soli 15 anni, Manuel Gerolin, coordinatore degli osservatori dei friulani, decide di portarlo in Italia per farlo crescere all’interno del vivaio: “Non è stato semplice lasciare tutto quello che avevo. Gerolin era andato in Brasile per prendere un altro ragazzo che giocava nel San Paolo. Lo aveva già visionato, ma parlando tra procuratori gli hanno detto che avevano questo 15enne. E così si è messo in viaggio per venire a vedermi e di conseguenza sono arrivato in Italia. E’ stato facile perché la mia famiglia mi ha supportato. Non ero mai andato via di casa, ero stato solamente un mese a Santos, ma non ero mai stato così lontano dalla famiglia. Mio papà mi disse che dovevo essere io a decidere. A quell’età non è facile che un genitore ti lasci libero. Mia mamma era più preoccupata, però poi si sono informati di com’era l’Udinese e si sono tranquillizzati”.
Felipe è stato solamente uno dei tanti giovani pescati in giro per il mondo dall’area scouting dell’Udinese. Ma come fanno i friulani a pescare spesso e volentieri nel posto giusto e al momento giusto delle giovani promesse? A spiegarlo è Felipe stesso: “In quei 12 anni che sono stato all’interno dell’Udinese ne ho visti tantissimi, e anche quelli che non sono riusciti ad avere una carriera importante erano molto validi tecnicamente. Io ricordo sempre quando andavo in sede e c’era una stanza con una ventina di monitor tutti su una partita con delle persone che controllavano e avevano questi osservatori che viaggiavano spesso come accadde con me. Loro son bravi perché progettano da subito. Poi pensare che l’Udinese faccia da più di trent’anni la Serie A e che in questi anni sono andati anche in Europa una decina di volta per una provinciale è veramente incredibile. Questo significa che c’è una ricerca, un’attenzione molto importante senza lasciare niente al caso”.
Nel 2003, per Felipe arriva l’esordio in Serie A con l’Udinese in un match contro il Chievo perso 3-0: “E’ stato brutto per la sconfitta, però a livello personale è stato il massimo. Ero molto teso, perché poi quello stadio lì non è pieno come gli altri stadi, ma fa ugualmente un grande effetto. Ricordo ancora le parole che mi disse Gerolin, ossia che il facile lo avevo fatto, ma adesso sarebbe arrivato il difficile. L’esordio è la cosa più semplice, poi dopo il continuare è la cosa più difficile. Per me è stata una giornata fantastica”.
Chi non vorrebbe giocare almeno una volta nella vita in Champions League. L’esordio è dei migliori perchè Felipe segnerà contro il Barcellona di Ronaldinho: “Ero molto giovane, ma già da due o tre stagioni ero un titolare. Abbiamo raggiunto la Champions League con l’Udinese, un traguardo storico. E’ stato veramente bello per tutta la gente di Udine e il Friuli. C’era tanto entusiasmo, e viverla così giovane in prima persona è stato un orgoglio. La città che mi ha adottato, la squadra che mi ha fatto crescere. Segnare al Camp Nou contro il Barcellona è stato il coronamento di quella stagione. Chi marcavo? Noi giocavamo a tre, e dalla mia parte c’erano Ronaldinho, Eto’o e Messi con la maglia numero 30 quando era ancora un ragazzino. Lì non potevi scegliere chi marcare perché erano uno più forte dell’altro”.
Dopo Udine ecco Firenze. Con la Fiorentina, tra le altre cose, Felipe scenderà in campo in Champions in una partita contro il Bayern Monaco persa 2-1 che ancora oggi viene ricordata per alcune decisioni arbitrali molto discutibili: “Quella partita fu a dir poco clamorosa. Sono entrato ed ero proprio su quell’azione lì. Quando ho visto che la palla andava verso Olic ho guardato il guardialinee e ho detto che era fuorigioco. Pensai che forse mi ero sbagliato perché dal campo non sempre hai la sensazione giusta. Quando ho rivisto le immagini, però, avevo ragione io. Avevo visto benissimo. E’ stato un peccato. La forza del Bayern la conoscevamo, però vedendo la partita di ritorno com’è andata, essere uscito per quel gol lì in fuorigioco ha dato ancora più rammarico.
Io a Firenze sono arrivato a gennaio. Per me è stato un cambiamento importante perché avevo vissuto dieci anni a Udine dove mi conoscevano tutti. Quella era una squadra che si conosceva a memoria perché giocavano insieme da 4-5 anni. Mi ritrovai a giocare con dei campioni come Mutu, Gilardino, Frey, Cristiano Zanetti, Montolivo e tanti altri. Peccato che poi alla fine non abbia avuto la possibilità di dimostrare tutto quello che avevo mostrato con l’Udinese. Per vari motivi giocavo fuori ruolo, da terzino, scelte tecniche che ho sempre accettato senza lamentarmi e la valutazione è stata fatta in base a quello. Però per me è stato un insegnamento, ma allo stesso tempo capii che Udine era un’isola felice”.
Dopo Firenze, arrivano due esperienze per Felipe nel giro di poche stagioni. Prima a Cesena e poi a Siena: “A Cesena sono andato praticamente alla chiusura del mercato perché erano subentrate alcune dinamiche che mi hanno costretto ad accettare in fretta e furia qualcosa. Quando sono arrivato eravamo in zona retrocessione, poi alla fine ci siamo salvati all’ultima giornata. Ho avuto dei problemi fisici, però avevo fatto comunque una decina di presenze. Era un ambiente molto simile a quello di Udine che mi ha fatto ritornare quella voglia che mi era un pò passata dopo l’esperienza a Firenze”.
Felipe ritorna alla Fiorentina, ma non fu un ritorno particolarmente brillante: “A Cesena ero in prestito, poi son ritornato. E’ stato un anno brutto perché abbiamo rischiato di retrocedere. Ci siamo salvati alla penultima giornata. In quell’anno lì mi allenavo e basta perché sapevo che non ero preso in considerazione. La cosa bella, però, fu la partita contro il Lecce che dovevamo vincere per forza per salvarci: c’erano tanti infortunati, e io e Marchionni eravamo fuori rosa. In quell’occasione abbiamo giocato dopo 6-7 mesi. Lui è uscito per infortunio già nel primo tempo, mentre io sono uscito per crampi all’80’ perché era una partita tesa e complicata. Abbiamo vinto 1-0 con gol di Cerci e abbiamo ottenuto la salvezza. Alcuni tifosi della Fiorentina hanno capito la mia professionalità perché potevo, come spesso accade, far finta di niente e non giocare. Invece quando mi è stato chiesto di farlo non mi sono tirato indietro. Bisogna sempre trovare la nota positiva, e quella lo è stato”.
Dalla Fiorentina al Parma. Diversi episodi accaduti: dalla sconfitta per 4-5 contro il Milan, alla crisi societaria che portò Felipe alla rescissione contrattuale: “Ho lasciato Firenze e sono andato a Parma per riprendermi dopo un anno fatto a Siena dove ho ritrovato un pò più di minutaggio. A Parma mi son trovato molto bene sia come ambiente che come città e tifoseria. Era quello di cui avevo bisogno in quel momento. Purtroppo, dopo un’annata sul campo andata molto bene con la qualificazione in Europa League e tanto spazio per via dell’infortunio di Paletta, sono arrivate tutte le difficoltà che l’anno dopo hanno portato il Parma al fallimento. Peccato, perché quella squadra lì con Cassano, Amauri, Marchionni, Parolo era molto forte. C’era un bel gruppo di amici. Arrivare a raggiungere un traguardo europeo così non è facile. Alla fine, visti i tanti problemi, per non continuare in quella situazione lì ho deciso di rescindere il contratto”.
La rescissione col Parma porta Felipe all’Inter, prima grande chiamata da parte di una big: “Ho coronato il mio sogno che era quello di vestire una maglia importante come quella dell’Inter. Ricordo che stavano cercando un difensore e io ero ancora svincolato. E’ stata una bellissima esperienza perché mi sono ritrovato Zanetti come dirigente e campioni come Vidic. Allenarmi e poter giocare con lui è stato bellissimo. Nella partita da titolare che ho giocato con l’Inter c’era di fronte il Parma. Quando sono uscito verso la fine ho sentito anche degli applausi. All’inizio pensavo che non fossero per me, ma invece lo erano. Avevo la pelle d’oca per quel gesto”.
Dopo l’Inter, Felipe decide di ritornare all’Udinese dove tutto ebbe inizio: “E’ nato tutto all’improvviso nel corso di un incontro in un ristorante. Ho fatto una battuta a un dirigente. In quel periodo era uscito sui giornali che quella squadra stava cercando un Felipe in Brasile e io, a questo dirigente, gli ho detto che invece di prenderne uno falso poteva prendere me che ero l’originale. E’ nato tutto così. Con l’Udinese non ho mai nascosto la voglia di ritornare, ma loro non avevano mai ripreso un giocatore a parte qualcuno come Sensini. Loro puntano sui giovani. Passano un paio di giorni e arriva la chiamata da Udine. Quando mi hanno fatto la proposta non ci ho pensato su due volte prima di accettare. All’inizio ero un pò titubante, ma poi ho deciso di rimettermi in gioco. Son stati due anni molto belli. I tifosi hanno capito quanto ci tenevo a quella maglia”.
Da Udine a Ferrara per vestire la maglia della Spal, ultima squadra professionista di Felipe: “L’esperienza con la Spal non me l’aspettavo così. In Serie A mancavano da tantissimi anni, e c’era tanto entusiasmo. I tifosi, vedere la gente in città andare in giro con la maglia della squadra, lo stadio sempre pieno, una società importante che ha anche rifatto lo stadio stesso, una squadra che in tre anni ha raggiunto la Serie A. Sono stati anni molto belli, simili a quelli che ho vissuto ad Udine. Ho trovato una seconda casa lì”.
I campi di Serie A, la Champions League e adesso la Serie D prima alla Manzanese e poi al Torviscosa: “Dopo l’ultimo anno con la Spal ho valutato alcune proposte. La mia scelta di andare a Ferrara, aldilà del progetto, è stata anche una scelta per la vicinanza a Udine per mia figlia per tutte le problematiche che sono nate lì quando ero a Parma. Siamo ritornati a Udine e aveva già ripreso la scuola e la sua vita, così come mia moglie che ha ripreso a lavorare. La scelta è stata facile perché era anche abbastanza vicino.
Prima della Spal avevo anche altre proposte, ma non le ho prese in considerazione. Dopo l’ultimo anno con la Spal le proposte che mi sono arrivate erano molto lontane e non me la son sentita. Erano posti molto interessanti così come lo era il primo anno a Ferrara, però a quell’età lì ho preferito aspettare che arrivasse qualcosa di più vicino. Nel frattempo, però, avevo ancora questa voglia di giocare.
Conoscevo un dirigente della Manzanese che mi ha chiesto di allenarmi lì con loro visto che mi stavo allenando da solo. Da lì ho iniziato ad allenarmi. Volevo continuare a giocare perché stavo bene e sto ancora bene fisicamente, ma penso già ad altro per il dopo calcio. Mi piacerebbe allenare. Voglio iniziare col settore giovanile e lavorare con i ragazzi. Nel Torviscosa sto collaborando con l’allenatore della Juniores così almeno faccio pratica per cercare di migliorarmi. Puoi sapere di tutto e di più sul calcio, ma spiegarlo è completamente diverso. Perciò bisogna sempre studiare e migliorarsi”.
Piccola curiosità: nel 2011, Felipe cambia il suo cognome da Dal Belo a Dal Bello: “ll cambio è venuto fuori perché avevo deciso di mettere sulla maglia il mio cognome. Io ho preso la cittadinanza italiana nel 2007 quando è nata mia figlia, e quel cognome era scritto male in Brasile. Quindi abbiamo fatto tutto il processo per la cittadinanza e lo abbiamo scritto nel modo corretto “Dal Bello”. L’ho scelto per un discorso di comodità soprattutto per mia figlia di togliere i cognomi della madre perché in Brasile si usa così.
Ho avuto tante difficoltà con questi miei cognomi, tant’è che quando ho preso la carta d’identità nel passaporto brasiliano c’era il mio nome completo. Era tutto nella stessa riga, e quindi mi è stato chiesto quale fosse il nome e quale il cognome. Io ho detto Felipe Dias da Silva Dalbelo è il cognome, Felipe è il nome. Ma ai controlli mi dissero che è impossibile. Ero ovviamente sorpreso perché sapevo quello che stavo dicendo. Praticamente mi avevano scritto Felipe Dalbelo Felipe Dias come nome, quindi quando mi chiedevano nome e cognome a volte scrivevano Diaz anziché Dias, a volte Dalbelo con doppia elle. Succedeva spesso, soprattutto negli appuntamenti dove non trovavano mai il mio nome. Ecco perché ho fatto questa scelta, e a Cesena nel 2011 ho messo il mio cognome italiano”.
Intervista a cura di Gerardo Guariglia