‘Non esistono più le bandiere di una volta…’. Se amate questo sport avreste sicuramente letto o ascoltato questa frase un po’ dappertutto: social, bar, chiacchiere tra amici. Ma siete sicuri che non ce ne siano più? Come lo definireste, allora, Francesco Uliano, classe ’89, che da cinque anni indossa sempre la stessa maglia, quella della Gelbison. E con essa ha collezionato 145 presenze, 29 reti e 9 assist.
‘Eh ma nelle categorie minori è più facile…’, ‘Non ci sono le cifre faraoniche che ci sono nei massimi campionati…’ :la lealtà e la riconoscenza verso un club, indipendentemente dalla categoria, o ce l’hai nel sangue oppure è difficile forgiarla. Potremmo stare ore ad elencare frasi di quel genere, che vengono captate in giro o lette su internet. E invece vogliamo raccontarvi una storia (quella appunto di Francesco Uliano) cominciata dal basso, per la precisione da Mugnano di Napoli: settore nord-occidentale della periferia napoletana denominato agro giuglianese o sub-flegreo.
Napoli e Maradona nei quartieri nei quali è nato Uliano sono un connubio impossibile da scindere: “Sono nato in una delle patrie calcistiche più importanti d’Italia e non potevo non avere come idolo Diego e non tifare per i partenopei. Purtroppo non ho mai avuto l’opportunità di indossare la maglia azzurra: questo è il mio più grande rimpianto” – in quella frase c’è tutta la tristezza di un giovane, ormai adulto, che non ha potuto coronare il suo sogno da bambino. “Sono uno dei tantissimi ragazzi che non è riuscito a vestire la maglia della propria squadra del cuore”.
Quando si è in tenera età sono i genitori che inculcano valori e passioni ai figli. E anche a Francesco è accaduto lo stesso: “fu mio padre che mi indirizzò verso la giusta strada. Anche lui è tifoso sfegatato del Napoli e ha giochicchiato un po’. Mi vedeva giocare in casa con il pallone e un giorno decise di portarmi alla scuola calcio del mio paese. Con lui ho un rapporto speciale. Essendo, però, il suo giorno libero la domenica allo stadio a vedere il Napoli ci andavo con mio fratello”.
Le qualità tecniche c’erano già da bambino e non “per essere presuntuoso ma me la cavano piuttosto bene rispetto agli altri. Da quel momento in poi è cominciata la mia avventura”. Nonostante siano passati tantissimi anni “ricordo ancora la mia prima squadra professionistica, ovvero il Teramo: cominciai negli Allievi nazionali. Poi ho conosciuto società importanti come Roma e Lazio per citarne alcune”.
Quando si comincia un percorso sportivo, in questo caso nel calcio, ci sono figure che rimangono impresse nella mente; con le quali hai legato di più o che ti sono state vicino nei momenti difficili e complicati della vita. “No, non c’è un allenatore o dirigente che ricordi in particolare: tutti sono stati fondamentali per me. E se cominciassi ad elencarli sicuro dimenticherei qualcuno: e non è giusto” – spiega e ci tiene a precisarlo Uliano. “Sono state tantissime che le persone che mi hanno supportato nei momenti positivi e negativi: sia quando ho cominciato che nel corso della mia carriera”.
A proposito di momenti non felici, c’è stato un periodo nel quale eri così a terra psicologicamente che hai pensato di mollare tutto? “Per fortuna non quando ho cominciato ma molto più tardi, a 28 anni: avevo appena terminato la mia parentesi con la Cavese ed ero pronto per una nuova meta. Purtroppo però in estate non arrivò nessuna chiamata e in quel momento pensai veramente di appendere le scarpe. Poi però ad ottobre mi chiamò la Gelbsion ed è come se fossi nato due volte: non immaginavo di crescere sia tecnicamente che caratterialmente alla soglia dei trent’anni” – sottolinea il giocatore rossoblù.
La gavetta, nella maggior parte dei mestieri, è essenziale: serve a imparare quei meccanismi cruciali per comprendere come eccellere nel tuo lavoro. E Francesco si fa le ossa in serie C con le maglie di Mezzocorona e Pergolettese prima di esordire in serie B con l’Ascoli. “Quegli anni in prestito in C mi sono serviti tantissimi sia a livello tecnico che mentale. Fin quando sei nelle giovanili il risultato conta in maniera diversa” – chiarisce Uliano. “Quando diventi un professionista il discorso cambia: playoff, playout, vittoria del campionato retrocessione. L’adrenalina sale di più così come aumentano anche le responsabilità quando entri in campo”.
“Sinceramente, dopo che sono ritornato all’Ascoli non mi aspettavo di fare l’exploit con i bianconeri. Sono stato fortunato ma allo stesso tempo non mi sono fatto sfuggire l’opportunità”. Con l’Ascoli, in serie B, Uliano scenderà in campo nella stagione 2010/2011 ben 18 volte. In quel campionato figuravano anche squadre che poi sarebbero salite nella massima serie. “Addirittura feci l’esordio assoluto a Bergamo con l’Atalanta: è stata l’emozione più grande della mia vita”.
Ma le sorprese per Uliano non finiscono qui perché nel giro di un paio di giorni giocherà anche contro il Torino: “Nel giro di una settimana ho affrontato le due squadre che si sarebbero giocate la promozione in serie A. Pressione? Era tantissima: ricordo che nel tunnel del vecchio ‘Atleti Azzurri D’Italia’ le gambe mi tremavano perché è stato un esordio inaspettato. Ti spiego: non dovevo giocare quella partita ma un mio compagno la notte precedente ha avuto la febbre e il mister mi schierò come titolare”.
In quelle due partite Uliano ebbe l’onore e la fortuna di poter calcare lo stesso terreno di gioco di persone come “Consigli, Tiribocchi, Padoin, Bonaventura, Doni e Manfredini. Loro erano nell’Atalanta. Nel Torino, invece, c’era gente come Ogbonna, D’Ambrosio e Bianchi. L’anno prima feci il fantacalcio con loro e dodici mesi dopo me li ritrovo come avversari: è stato incredibile”.
Dopo la meravigliosa parentesi in quel di Ascoli, Uliano si trasferisce l’anno successivo in Alto-Adige. Precisamente a Bolzano, dove gioca il Sudtirol in serie C. Con i biancorossi rimarrà per due stagioni collezionando 62 presenze in totale. “Sinceramente non sono sorpreso della promozione in B del Sudtirol” – festeggiata dagli altoatesini proprio qualche giorno fa. “E’ una delle società più organizzate d’Italia: rasenta la perfezione. Con un budget ridotto quell’anno riuscimmo a fare una squadra competitiva: giocai con Schenetti, Iacoponi, Giannetti. Credo che il Sudtirol debba essere il modello da seguire per comprendere come fare calcio nella maniera corretta. A Bolzano sono stato benissimo: non ho avuto problemi ad ambientarmi nonostante io sia abituato al caldo di Napoli (ride, ndr)”.
Come nella vita anche nel calcio prima o poi i momenti difficili arrivano. Nel caso di Uliano è i problemi sono piombati come un fulmine a ciel sereno: quando meno te l’aspetti ti feriscono e ledono il tuo animo. Siamo nella stagione 2014/2015. “I primi sei mesi li ho passati a Pordenone: poi la società ha fatto le sue valutazioni e sono dovuto andare via: andai al Monza in serie C. Con quella squadra facemmo veramente un miracolo sportivo” – chiosa il centrocampista. “La società era assente: noi non percepimmo nessuno stipendio quell’anno. L’unica cosa che contava era il gruppo: ci salvammo sul campo nonostante tutte le difficoltà. Tant’è che i tifosi, piangendo, ci ringraziarono a fine campionato”.
In estate arriva però la mazzata: nonostante le 27 presenze e i tre gol le offerte per Francesco non arrivano. “Non mi spiego come sia stato possibile che dopo quelle buone prestazioni sia sceso di categoria, ricominciando tutto da Monza addirittura in serie D. Uno dei momenti più difficili nella mia carriera” – la delusione nonostante siano passati anni è ancora vivida nella mente del classe ’89. “Ad agosto di quell’anno il mio curriculum contava 200 presenze tra i professionisti: perciò non mi spiego come mai non siano arrivate offerte concrete”.
Dopo una lunga avventura nella quale abbiamo percorso, insieme ad Uliano, gli aspetti più importanti della sua carriera passata arriviamo all’attualità. Da cinque anni indossa la stessa maglia, quella della Gelbison: ma com’è nata la storia tra l’ex Ascoli e la formazione di Vallo della Lucania? “Eravamo ad ottobre, avevo appena terminato la stagione con la Cavese: come accaduto a Monza non riuscii a trovare alcuna squadra che volesse puntare su di me. Pensai addirittura di smettere” – confida Uliano. “Grazie al mio attuale procuratore, però, mi accasai alla Gelbison”. E fu amore a prima vista: “società competenze, dirigenti professionali e un allenatore fantastico come De Felice. Mi ha dato nuovi stimoli, mi ha risollevato moralmente perché venivo da un momento negativo”.
“Non esistono più bandiere? E allora io e Bernardo D’Agostino cosa siamo?” – scherzando. “Siamo i pilastri della Gelbison: siamo quelli più legati alla città e alla società. In questi cinque anni mi sono arrivate diverse offerte ma ho sempre rifiutato perché avvertivo un senso di riconoscenza nei confronti di questa squadra. Quando trovi un equilibrio particolare preferisci non romperlo cambiando”.
Oltre ad essere una bandiera e capitano del club rossoblù, Uliano è maturato anche a livello temperamentale. “In questa squadra sono diventato un leader, caratterialmente parlando. Se nelle mie esperienze passate lo ero dal punto di vista tecnico, con la Gelbison ho compiuto quello step in più. Con la vena del leader si nasce è vero: ma col tempo, migliorando, si può diventare leader caratteriali”. Secondo te che qualità deve avere in più, rispetto ai suoi compagni, un leader? “Deve mettersi a disposizione della squadra: per me non è quello che comanda. Ma questa è la caratteristica fondamentale. Ovviamente devi anche essere umile: se non lo sei non riesci a metterti a disposizione degli altri”.
Siamo giunti al termine di questa bellissima chiacchierata con il capitano della Gelbison Francesco Uliano, al quale chiediamo come ultima considerazione se ‘è una promessa/scommessa in caso di promozione in C. “No per ora nulla (ride, ndr). Siamo scaramantici: nessuna scommessa. Diremo la famosa parola magica soltanto all’ultimo minuto dell’ultima gara del campionato”.
Articolo a cura di Fabrizio Frasca