Home » Giovanni Ferraro: “Fermo per scelta, ma il campo mi manca. Voglio un progetto vincente”

Giovanni Ferraro: “Fermo per scelta, ma il campo mi manca. Voglio un progetto vincente”

giovanni ferraro

L’intervista esclusiva a Giovanni Ferraro, ex allenatore di Catania e Giugliano tra le tante

Squilla il telefono, nessuna risposta. Ma passano poco meno di 30″ e Giovanni Ferraro richiama: “Eccomi, ero in bici. La mattina vado in palestra, nel pomeriggio mi dedico alla Next Gen, una scuola calcio. Mi aiuta a stare sempre sul campo, non mi fa perdere l’abitudine”. Ferraro non allena da circa un anno e mezzo, ma guai a dirgli che è ‘fermo’. “Noi non possiamo permettercelo. Se stai sul divano ti passa la voglia di stare in campo. A me piace girare, vedo 2/3 partite a week end. Allenare è una vocazione, bisogna averlo dentro”.

L’ex Catania e Giugliano è così: sincero, schietto, diretto. Lo è la domenica in panchina se lo si osserva dalla tribuna, lo è anche nei primi minuti di questa intervista. “Il campo mi manca. Non pensavo. Stare a casa fa male, anche se fin qui è stata una scelta mia”. Giovanni Ferraro si è raccontato a seried24.com a 360 gradi tra passato (vincente), presente e un futuro ambizioso, dove coltiva anche qualche sogno: “Sono quelli che tengono accesa la fiamma. Averli è bello”.

Giovanni Ferraro: “Pronto a tornare, voglio un progetto vincente”

Due promozioni consecutive con il Vico Equense (dall’Eccellenza alla Serie C), due campionati di Serie D vinti tra il 2021 e il 2023 con Giugliano e Catania. E nonostante ciò, Giovanni Ferraro non allena proprio dall’esperienza catanese. “Sono fermo perché, dopo due campionati vinti, le richieste che ho avuto non mi hanno convinto, ma non per l’aspetto economico. Sia l’anno scorso che quest’anno ho avuto tantissime chiamate. Io voglio un progetto vincente, con ambizione, dove poter lavorare. Non un ambiente dove si sta un mese e poi ce ne andiamo via. Non mi piacciono queste cose. Il calcio è cambiato molto, è cambiata la mentalità delle società. Ho avuto diversi colloqui, alcuni telefonici, ma a me non va bene. Voglio parlare in presenza, si crea empatia”.

Pronto a subentrare anche a campionato in corso. “Sì, lo farei. Anche se quando si subentra è diverso, bisogna adattarsi sempre, non si può rivoluzionare tutto. Ma io mi reputo bravo con le squadre prese in corso d’opera. All’Arzanese arrivai che la squadra era quasi retrocessa e facemmo benissimo, ottenendo la salvezza. A Pomigliano, appena arrivato, eravamo a 17 punti dall’Arzanese e arrivammo a -2. Con la Casertana eravamo dodicesimi in classifica e arrivammo ai playoff”.

“Il campo mi manca, non pensavo”

Giovanni Ferraro ha voglia di tornare. Ha voglia di stare in panchina, arrabbiarsi, gioire. D’altronde è lì che ha vissuto e vive gran parte della sua vita. “Il campo mi manca. Non pensavo. Stare a casa fa male, anche se è stata una mia scelta. Tanti non mi contattano perché dicono che io chiedo tanti soldi. Ma quando arrivo non parlo mai di questo. A Catania non ho mai parlato di contratto economico all’inizio. Prima andai lì, poi affrontammo questa questione. A Giugliano ho fatto la stessa cosa. I soldi sono una parte importante, ma non sono quelli che fanno andare avanti un progetto lavorativo”.

Ferraro ha poi proseguito: “A me non piace parlare di soldi, preferisco discutere di progetto, organizzazione, squadra. A Nocera andai via dopo un giorno? Se ne parla sempre. La società mi aveva accontentato sotto tutti i punti di vista, ma non sono riuscito a trasferire il mio pensiero. Quindi ho fatto un passo indietro. La Nocerina era a 2 punti dalla Cavese quando firmai, ha finito a -18. In quel momento avevo esigenze, era un momento particolare. A inizio anno sarebbe stato sicuramente diverso”.

Definito da tanti come maniacale nel suo lavoro ed esigente, Ferraro puntualizza: “La D è un campionato importantissimo, per me è professionismo, non dilettantismo. Girano tanti soldi e poi ci chiamiamo dilettanti? Ma di che? Per esempio a me piace allenarmi di mattina. Una volta andai in una squadra a campionato in corso e i calciatori mi bussarono alla porta, dicendomi che di mattina non potevano allenarsi perché avevano preso determinati accordi. Dissi che dovevano cambiare società. In Serie D non posso permettere che un giocatore non si possa allenare di mattina”.

Giovanni Ferraro: “Vi spiego la mia idea di calcio”

Tre campionati vinti, due nei suoi due ultimi anni da allenatore. Chi meglio di Giovanni Ferraro può sapere come si vince in Serie D? “Intanto non bisogna dire che si vuole vincere (ride, ndr). Quando si fa, si innesca un meccanismo particolare. Bisogna partire con una programmazione e uno staff qualificato. Meglio un giocatore in meno, ma far stare bene tutte le persone che girano intorno a una squadra. Bisogna saper allenare i calciatori, è vero, ma servono le strutture adeguate. Sia per quanto riguarda i campi di allenamento, sia per strutture extra come centri di fisioterapia e altro. A volte queste cose si tralasciano per prendere un calciatore in più, ma è sbagliato. Non è che se prendi giocatori forti o se prendi Giovanni Ferraro, vinci sicuro”.

Ferraro è pragmatico. È uno che ama la concretezza. Poche parole, tanti fatti. E sulla tattica? “Il modulo è relativo. A Giugliano dovevamo giocare con la difesa a 3, invece poi abbiamo vinto a 4. Avevo Gladestony e De Rose, due interni di centrocampo, che hanno segnato 8 gol a testa. A Catania avevo Palermo, Rizzo, Mattia Vitale, che hanno fatto lo stesso. Le mezzali con me fanno sempre bene. Ma deve essere bravo un allenatore a far rendere bene i calciatori valorizzandone le qualità. A Giugliano vinsi con un 2002 – all’epoca under – come play basso. Se un ragazzo è bravo, perché non deve giocare? E poi avevo Cerone come vertice alto, la palla doveva arrivare rapidamente a lui. Più verticalizzi, più le difese non sono organizzate”.

“Catania? Se alleni lì, puoi allenare ovunque in Italia”

Tra le esperienze più belle della carriera di Giovanni Ferraro c’è quella con il Catania, in Serie D, nel 2022/23. 88 punti, +31 sul Locri secondo: un campionato dominato dall’inizio alla fine. “Dovevamo vincere il campionato e l’abbiamo stravinto. La gente dimentica, ma farlo con 31 punti di vantaggio sulla seconda non è mai successo. Non è mai semplice. A Catania non devi vincere e basta. Ci sono tante altre cose. Se alleni un anno lì, senza essere esonerato, hai già vinto un campionato. Essere apprezzati dal pubblico, società, rosa, non è mai semplice”.

A fine anno, però, è arrivata la separazione dopo la promozione in C. “È finita perché è cambiato un po’ il progetto societario. Sono cambiati meccanismi del mercato, è arrivato un altro allenatore, sono state fatte altre scelte. Hanno deciso così, ma io l’ho accettato. Sono partito da piccole piazze e sono arrivato ad allenare il Catania, davanti a 20.000 spettatori: ho fatto grandi passi nella mia carriera e di questo vado orgoglioso. Mi sento ancora con diverse persone, sono rimasto legato. Per essere apprezzati bisogna essere sé stessi ed è quello che ho fatto. Lì servono poche chiacchiere e tanti fatti in campo. Ho fatto un anno importante con il direttore Laneri, con il presidente Pelligra, con Grella, con Carra. Si vince tutti insieme. Solo chi vive Catania può capirla. Se hai allenato lì, puoi allenare ovunque in Italia”.

“Sto seguendo il corso di UEFA Pro, mi piace sognare”

Originario della Campania, Ferraro segue con grande attenzione tutti i gironi, con un occhio di riguardo a quelli del sud Italia. “Girone più complicato? Penso sia il girone H, è il più equilibrato. Ma anche il girone I ha un ottimo livello. Nel girone H ci sono squadre come Casarano e Andria che hanno rose importanti, ma non stanno raccogliendo risultati. In tante partono per vincere, ma non è così facile. E mi dispiace quando poi gli allenatori dopo due settimane, un mese, sono già in discussione. A volte si lavora, ma non arrivano i risultati. Girone I? Vedo Scafatese, Siracusa, Reggina e Pompei. La Scafatese ha fatto una grossa squadra e ha vinto a Reggio, non è semplice. Anche il Pompei ha fatto un’ottima campagna acquisti, ha giocatori di categoria. Poi parla il campo, ma la rosa è di qualità”.

Infine spazio ad ambizioni, sogni, perché non è mai troppo tardi per pensarci. “Sto facendo il corso UEFA Pro a Coverciano con Fabregas, Hamsik, Pagliuca. Siamo in venti. Per me è sempre una crescita. Un allenatore non può stare fermo. Cambiano tecniche e terminologia, bisogna aggiornarsi. E poi con il mio patentino posso allenare in C, con quello che sto prendendo posso allenare anche in Serie A. Se non credessi in me stesso, non avrei fatto questo investimento”.

Perché in fondo “avere dei sogni è bello. Se all’improvviso mi chiama una squadra di Serie A che faccio (ride, ndr)? Almeno ho il patentino per farlo. I sogni alimentano la fiamma. Quando uno si sente stanco e sta lì fermo, non può più allenare”. E allora si riparte: bici, palestra, scuola calcio, sui campi a osservare, a Coverciano a studiare. Routine. Tutto questo è Giovanni Ferraro, in attesa di tornare ad “arrabbiarsi” (e vincere) in panchina.