Marco Ballotta, un nome “nostalgico” che ha accompagnato tante generazioni di tifosi e appassionati. “Ho cominciato da attaccante. Appesi i guantoni, siccome stavo bene fisicamente, mi sono divertito con gli amici del mio paese giocando qualche anno e vincendo anche due campionati.
Oggi con il Terre di Castelli in Eccellenza emiliana, ma gli anni della Serie A restano indelebili: “Per ricoprire il ruolo di vice portiere è importante non accontentarsi. Devi essere importante anche nello spogliatoio. Tra me ed Eriksson c’era un ottimo feeling e ci capivamo“.
Tra i tanti campioni con il quale ha condiviso lo spogliatoio c’è anche Sinisa Mihajlovic: “Insieme provavamo le punizioni. Aveva un carattere forte, si faceva sentire in campo e fuori. Quando capitava una punizione era sempre un pericolo pubblico. Non dico che era sempre gol, però le probabilità erano alte“.
Il percorso di Marco Ballotta comincia da lontano: “Sono passato dai Dilettanti all’età di 13 anni, poi il Bologna mi ha girato in prestito in Serie D al San Lazzaro. Formarsi nelle categorie inferiori è importante. Noi come Castelvetro anticipiamo di un anno e cerchiamo subito di inserire il ragazzo tra i grandi anche solo per allenarsi così capisce subito come e dove migliorare.
Quando esci da un settore giovanile è importante avere l’opportunità di andare a giocare in palcoscenici più grandi. E’ meglio pagare se vai in prestito da qualche parte per poi rientrare con un anno in più alle spalle”.
La prima volta tra i grandi: “Giocavo nella Primavera del Bologna e dovevamo affrontare il Modena. A vedere la partita c’era l’allenatore della prima squadra ed è rimasto impressionato. Per me è stato importante perché andavo a confrontarmi col professionismo. Non conoscevo il livello, ma mi son trovato subito a mio agio”.
Gli indimenticabili anni di Parma: “Per la città è stato il momento più importante. Nel primo anno di Serie A, il Parma ha raggiunto subito la Coppa UEFA e la finale di Coppa Italia contro la Juventus. Era il primo trofeo importante che andavo a giocare, e trovarti di fronte i bianconeri e vincere è stata una grande emozione.
Siamo arrivati nelle prime tre posizioni, e l’anno dopo abbiamo vinto la Coppa delle Coppe con 20mila tifosi a Wembley che per una città come Parma penso sia un risultato straordinario.
La finale contro l’Anversa? Ci ritrovavamo a giocare una partita che non era nelle nostre corde perché non avevamo mai giocato a quei livelli. Fu la prima finale per tanti e non vincere ci avrebbe lasciato l’amaro in bocca, era un’opportunità che non potevamo lasciarci sfuggire. Abbiamo vinto meritatamente e da lì, poi, è partito tutto quello che riguarda la società del Parma“.
La Supercoppa Europea del ’93 contro il Milan: “Vinta la Coppa delle Coppe e la Coppa Italia si stava formando un Parma molto interessante. Siamo stati capaci di battere un Milan che non perdeva da 55 partite consecutive grazie alla vittoria di San Siro con gol di Asprilla su punizione. Vincere è stato speciale perché di fronte avevamo una squadra stellare e abbiamo combattuto alla pari vincendo. Quel Parma stava crescendo, e la vittoria in Supercoppa ha fatto sì che si parlasse ancora di più di noi“.
Il Parma non ha mai vinto lo scudetto, ma per Ballotta non è un rimorso: “Quando sono andato via hanno iniziato a costruire la squadra per provare a vincerlo. Tra Parma e Lazio giravano diversi giocatori perché Cragnotti e Tanzi lavoravano nello stesso settore e qualche scambio è avvenuto. A Parma sono andati vicini a vincere il campionato, ma probabilmente c’erano squadre più attrezzate e città molto più grandi come Torino, Milano e Roma. Poi è saltato tutto perché si erano esposti troppo a livello economico e non sono riusciti a colmare quei debiti. Magari con la vittoria del campionato poteva cambiare qualcosa, anche se era difficile”.
A Brescia con un giovanissimo Andrea Pirlo: “Se uno debutta in Serie A a 16 anni non è un caso. Lucescu stravedeva per i giovani e lavorava molto bene con loro. In Pirlo s’intravedevano delle qualità. Era difficile pronosticare tutto quello che ha fatto, come per tanti altri calciatori giovani che promettevano bene. Con lui ho giocato anche all’Inter, ma Ancelotti è stato bravo a cambiarli il ruolo spostandolo da trequartista a centrocampista centrale“.
L’allora presidente del Brescia e il rapporto con Stefano Borgonovo: “Corioni mi ha voluto a Brescia. Era diventato presidente del Bologna nel periodo in cui sono andato a Modena e tutti i prestiti che aveva in giro li ha lasciati andare. Gli è rimasto un po’ l’amaro in bocca, e non a caso poi mi ha richiamato a Brescia con lui. Poi, ne abbiamo parlato e si è rifatto tesserandomi. Quell’annata è andata male. C’erano molti proclami a inizio campionato, l’obiettivo era la zona Uefa, erano arrivati giocatori di nome ma già a fine carriera.
Stefano Borgonovo? Ci si aspettava tanto. Non era al 100% perché veniva da gravi infortuni in carriera. Non ha fatto la sua miglior annata, complice anche una squadra che non è riuscita ad esprimersi al meglio. Non era stata allestita bene e non andavano d’accordo l’uno con l’altro dal punto di vista tecnico“.
Carlo Ancelotti ha vinto tanto in Europa, ma poco in Italia da allenatore. Perché? “Dipende anche che squadra alleni. Se oggi tornasse in Italia penso che abbia l’esperienza giusta per vincere anche qui. All’estero ci sono parametri diversi. L’Italia è un po’ lontana dal calcio inglese, forse più vicino a quello spagnolo, però sono club abituati a lottare sempre per vincere la Champions.
E’ stato bravo e fortunato che certi club si sono avvicinati a lui. Poi ci vuole anche quel pizzico di fortuna nel vincere o perdere le partite, perché le finali si raggiungono ma si ricordano solo se le vinci. Se vinci è quasi sempre per merito, ma Ancelotti ha vinto coppe dove magari era sotto a un minuto dalla fine e poi è riuscito a ribaltare tutto“.
Che ricordi con la Lazio: “Ero il vice di Marchegiani. L’anno dello scudetto ho giocato una decina di partite togliendomi tante soddisfazioni. Quando sono arrivato abbiamo centrato la finale di Coppa UEFA contro l’Inter e la finale di Coppa Italia contro il Milan.
La Coppa Italia è stato il trofeo più importante. Se non l’avessimo vinta probabilmente sarebbe stata smantellata la squadra. Grazie a quella vittoria sono arrivati altri giocatori importanti che hanno contribuito alla vittoria della Coppa delle Coppe e del campionato.
Nel 2005 c’erano le condizioni per tornare alla Lazio, anche se all’inizio non mi stavano molto bene. Dovevo andare a fare il terzo portiere con l’allora direttore sportivo Osti che avevo avuto l’anno prima a Treviso. Mi aveva chiesto di dare una mano perché c’erano problemi tra Peruzzi e Sereni e io dovevo essere una sorta di chioccia.
Non ero convinto del ruolo di terzo, ma Osti mi disse che uno dei due sarebbe andato via. Sereni andò al Treviso, io alla Lazio con Handanovic. C’era l’occasione per riscattarlo, ma la società fece altre scelte“.
Chi non ricorda l’attesa finale di quel Perugia-Juventus firmato Alessandro Calori sotto il diluvio: “Attesa infinita. Avevamo vinto 3-0 contro la Reggina ed eravamo davanti la Juventus in quel momento. Aspettavamo solo il fischio finale, ma sapevamo che in caso di vittoria dei bianconeri non avremmo vinto lo scudetto.
Speravamo in un pareggio per far sì che andassimo agli spareggi, poi al gol di Calori è esploso lo stadio. C’era tanto da giocare ancora e ci aspettavamo che da un momento all’altro un gol della Juve che fortunatamente non è arrivato“.
Se al Parma manca uno scudetto, alla Lazio manca una Champions: “Siamo stati eliminati dal Valencia ai quarti di Champions nonostante avevamo la squadra più forte. Quella partita, con un pizzico di attenzione in più, non l’avremmo mai persa. Vincevamo 1-0 in casa, preso un palo, sbagliato un rigore. Tanta sfortuna, ma abbiamo cestinato il passaggio del turno in Spagna. A mio avviso se fossimo passati saremmo arrivati in finale e ce la saremo giocata. Era una squadra di grande livello abituata a quel tipo di partite”.
Neanche il tempo di festeggiare perché bisognava conquistare un altro trofeo: “Avevamo vinto lo scudetto ed eravamo in finale di Coppa Italia contro l’Inter. Vittoria all’andata 2-1 e dovevamo giocare il ritorno a campionato finito. Eravamo ancora in festa e avevo anche qualche capello dipinto di blu. Sapevamo che non volevamo perdere. Quando le annate girano nel verso giusto finisce sempre bene. Siamo riusciti a strappare uno 0-0 e a vincere il trofeo”.
Una Coppa delle Coppe e una Supercoppa Europea vinta contro il Manchester United di Ferguson: “Giocare e vincere due finali contro Maiorca e Manchester United è stato importante perché ci siamo confrontati con l’elite del calcio europeo. Eravamo consapevoli della nostra forza, ecco perché dico che non abbiamo vinto la Champions solamente per aver sbagliato la gara contro il Valencia. Quella squadra era allestita per grandi traguardi. Magari come città non era abituata a determinati palcoscenici, ma penso che poteva vincere qualche altro trofeo in più“.
Mai una presenza in Nazionale per Marco Ballotta: “Meritavo la convocazione in Nazionale visti gli anni di Parma. All’epoca c’era molta concorrenza con i vari Pagliuca, Marchegiani, Peruzzi, Zenga, Tacconi. Ho giocato in tre periodi diversi con 27 anni di professionismo, ne ho incontrati parecchi. Qualcosa di più me lo sarei meritato, ma sono felice ugualmente.
La parata più bella? Ne ho fatta una contro l’Atletico Madrid in Coppa delle Coppe. Avevamo vinto 2-1 a in casa loro, poi al ritorno perdevamo 1-0 in casa e ho fatto un mezzo miracolo che ci ha permesso di andare in finale. Tutti si ricordano anche della parata che ho fatto su Del Piero a Torino che ha salvato il risultato. Quell’1-0, poi, ci ha consentito di avvicinarci a loro e di vincere lo scudetto“.
Intervista a cura di Gerardo Guariglia