Una nuova esperienza, la prima da allenatore sulla panchina del Castelvetro in Eccellenza emiliana: “Quando stai per smettere inizi a guardarti un po’ intorno. Ho cercato di intraprendere da subito il percorso dell’allenatore perché mi sentivo più adatto a un ruolo di campo“. Di ruolo difensore, ma con un mancino educato che ha spesso regalato gioie ai suoi tifosi. Maurizio Domizzi è un mix di sentimento e passione abbinata a un impeccabile dote realizzativa dagli undici metri: “E’ più una questione psicologica che tecnica. Quello che però fa veramente la differenza è avere il gusto e la soddisfazione di vivere un rigore come la possibilità di segnare, non con la paura di sbagliarlo”.
Tanti rigori tirati in carriera e un testa a testa con i portieri avversari dal punto di vista mentale: “Di rigori importanti ne ho tirati diversi, come quello in un ottavo di finale di Europa League contro il Paok Salonicco. I portieri hanno la possibilità di studiare gli avversari, ecco perché devi per forza avere la bravura di cambiare spesso angolazione. Se tiri pochi rigori puoi anche calciarli nella stessa maniera, ma se devi tirarne più di uno devi imparare a cambiare”.
“Sono cresciuto nel settore giovane della Lazio. Tutti quelli che hanno vissuto quell’ambiente hanno un ricordo bellissimo perché per diversi anni è stata una delle prime squadre a fare investimenti mostruosi. Abbiamo visto arrivare e giocare calciatori straordinari, ma erano altri tempi che ancora oggi non si sono visti. Poi ho giocato in C a Livorno e in Serie B a Modena dove vincemmo il campionato. Sentivo, però, che l’approdo in Serie A stava per arrivare“.
“Hamsik era un ragazzino, tant’è che raramente veniva con noi della prima squadra ad allenarsi. Qualche anno dopo me lo sono ritrovato a Napoli nel primo anno di Serie A e veniva da un campionato giocato ad altissimo livello. La sua crescita è stata molto rapida, perché a 20 anni è riuscito a imporsi e a mantenersi ad alti livelli”.
Corioni? Ha dato tanto al Brescia e al calcio italiano. E’ stato un presidente longevo, cosa che nel calcio di oggi si è persa perché non c’è più quel senso d’identità a partire dalle proprietà che cambiano spesso e non riescono a dare una continuità alla città a livello affettivo”.
“Quell’Ascoli è stato costruito negli ultimi giorni di agosto perché furono ripescati. Io arrivai a mercato quasi finito e mai nessuno avrebbe scommesso su di noi. Avevamo un allenatore esordiente come Marco Giampaolo e un gruppo di giovani e altri profili che da poco si erano affacciati alla Serie A. Facemmo un gran campionato centrando una salvezza più che tranquilla valorizzando tanti calciatori che dopo hanno giocato stabilmente in A”.
“L’anno più bello è stato quando vincemmo il campionato di Serie B. Partivamo per la promozione, ma per via di calciopoli ci ritrovammo nel girone Juventus e Genoa che dal punto di vista tecnico ci erano entrambe superiori. Nonostante ciò riuscimmo ad arrivare secondi facendo un percorso al di sopra delle nostre possibilità. Quel Napoli era tornato da poco, aveva tanti calciatori provenienti dalla Serie C e non era attrezzato come le altre due.
Il Napoli di oggi? Nel corso di questi anni ha avuto un grande pregio, ossia la continuità. Ha sempre lottato per le prime quattro posizioni, addirittura alcune volte anche per lo scudetto. Quest’anno ha unito una qualità di gioco superiore che l’ha portata ad aumentare il vantaggio con delle inseguitrici che stanno facendo poco“.
“All’interno del mondo Udinese c’è equilibrio da 20 anni su ogni cosa che fanno. Dalla scelta di un giocatore alla gestione della squadra, fino allo stadio e al centro sportivo. Questo aspetto spesso è sottovalutato in un mondo così frenetico dove contano tanto le apparenze, i numeri e gli exploit veloci. Si sottovaluta la costanza e la serietà col quale si deve lavorare nel tempo.
In quel periodo ho avuto la fortuna di vederne tanti. I primi anni che ero a Udine con Marino allenatore avevamo delle squadre formidabili. Tanti di quei ragazzi erano giovanissimi, ma sono poi maturati nel tempo. L’unico cruccio che rimane è quello di Muriel; aveva quel qualcosa in più che si poteva avvicinare ai vari Di Natale e Sanchez. Purtroppo non è mai riuscito ad esprimere tutto il suo talento”.
Per diversi anni siamo arrivati nella zona Europa. Poi tante vittorie, come il 7-0 a Palermo che rimase nella storia. Abbiamo giocato per un paio di anni consecutivi l’Europa League a ottimi livelli arrivando due volte ai quarti di finale”.
“Sbagliare un rigore può capitare. Il discorso è che gente come me, Di Natale, Pinzi, Pasquale e altri che avevano già superato i 30 anni avevamo già perso l’anno prima il preliminare contro l’Arsenal e sapevamo che avere la possibilità di farne due di seguito e perderli entrambi sarebbe significato non giocare più in Champions. E’ stato quello il rammarico più grosso, non il dettaglio del cucchiaio”.
“Ho accettato subito Venezia anche perché decisi di rimettermi in gioco dalla Serie A alla Serie C. Filippo Inzaghi e il direttore riuscirono a trasmettermi quell’entusiasmo di accettare una cosa che magari fino al giorno prima non avrei neanche preso in considerazione. Abbiamo gettato le basi per quello che poi dopo è riuscito a fare il Venezia, ovvero fare anche un anno di Serie A ma soprattutto consolidarsi in Serie B costruendo strutture e sistemando stadio e centro sportivo”.
“Quello è l’unico rammarico che ho. Sia a livello giovanile che nazionale maggiore erano anni dove c’era una concorrenza di altissimo livello. Credo che a cavallo degli anni di Napoli e Udine avrei potuto meritarmela visto il rendimento e soprattutto i traguardi ottenuti”.
Intervista a cura di Gerardo Guariglia