Nel mondo di Dardan Vuthaj, il bomber che ha segnato più di tutti in Italia
Intervista a Dardan Vuthaj, il bomber che nella scorsa stagione ha realizzato 37 gol in 41 partite con la malia del Novara
Il suo passato glielo leggi in faccia e in certe parti del racconto sembra uscito da un romanzo. Ha lo sguardo di chi ha lottato, combattuto e poi ha vinto. La storia di Dardan Vuthaj, attaccante classe 1995, parla di questo e tanto altro. Quest’anno ha segnato 37 gol in D con il Novara, più di chiunque altro in Italia. Nessuno come lui. E se pensi che hai segnato più di Immobile e Vlahovic, ti sembra di sognare. Ora sarà fondamentale restare con i piedi per terra, ma Dardan è abituato. “Me lo ha insegnato la vita. Adesso sento di essere maturo per fare il salto. Ti parlo sia a livello fisico che dal punto di vista mentale”. Vuthaj è pronto. Lo vedi dagli occhi, fieri di non aver mai mollato e di avercela fatta.
Vuthaj:“Con il passare degli anni ho capito come gestire determinate situazioni”.
Se riavvolge il nastro e si guarda indietro vede ragazzino immaturo che non sempre ha avuto la testa. “Spesso ho sbagliato, ma mi è servito per diventare l’uomo che sono oggi”. Dardan anni fa era la stellina del Genoa Primavera, riceveva complimenti da tutti e ci si aspetta possa arrivare presto il suo momento tra i grandi. Poi qualcosa si rompe. “Ho avuto una discussione con Juric, che è stata molto ingigantita. Mi ha tagliato un po’ le gambe per gli anni successivi. Sono stato descritto come quello che non sono e credo sia la cosa che più di tutte vorrei dimostrare in carriera. Farmi conoscere quindi per il ragazzo che sono, non per sentito dire”. Carattere di una persona vera, che dribbla finti sorrisi e ti dice le cose che pensa in faccia. “Sono fatto così. Però con il passare degli anni ho capito come gestire determinate situazioni”. Mentalità vincente, anche se non è stato sempre facile.
Già, perché dopo il Genoa sono arrivate stagioni difficili. “Per colpa mia, non sono uno che cerca scuse”. Te lo dice in modo diretto, schietto e senza peli sulla lingua. “Sai quando spegni completamente il cervello e hai la testa da un’altra parte? Questo sono stato io nei primi anni di Serie D tra Chiavari e San Donato”. Anche a Monopoli in C le cose non andranno meglio. Buio. Poi la svolta: Camposardengo prima, Rimini poi. Gol a grappoli e felicità ritrovata. “Ho rivisto la luce dopo stagioni complicate. Adesso mi godo quello che ho costruito, cercando di puntare sempre più in alto”. Questione di fiducia e consapevolezza dei propri mezzi. Senza dimenticare che ogni giorno è un nuovo inizio, ma Dardan lo sa. Ce lo insegna la sua storia.
“Non mi pongo limiti, vorrei salire di categoria“
“Ti assicuro che in pochi hanno vissuto quello che ho passato io”. Lo dice a testa alta, senza falsa modestia. Il suo viaggio è partito dall’Albania, scappando da guerra e povertà. “Siamo andati prima in Grecia e poi ci siamo spostati in Italia. A Garessio, in provincia di Cuneo”. Il Piemonte come punto di ripartenza prima nella vita, poi da calciatore quest’anno grazie ai 37 gol con cui ha riportato il Novara tra i pro. Segni del destino. “Ci vuole grinta, determinazione ma anche la fortuna di trovarsi nel punto giusto. Ringrazierò sempre il direttore Di Bari e il presidente per la fiducia. Ora non mi pongo limiti, vorrei salire di categoria”. Impossibile dargli torto.
Vuthaj tutti i gol li dedica alla sua famiglia, che lo ha sempre fatto sentire a casa anche se spesso sono stati lontani. Gli hanno insegnato a crederci sempre e non mollare mai. “Ci sono stati momenti in cui non avevamo niente da mangiare. Non è stato semplice, anzi. Mio padre fa il muratore, da lui ho imparato cosa vuol dire sudare e lavorare sodo. Molte volte l’ho anche aiutato. Senza chiedere un euro, ovviamente. Oggi gioco per dare da mangiare a loro”. Valori. Di quelli che ti restano impressi e che metti poi in pratica tutti i giorni, non solo nel calcio. “Gli devo tutto. Non te lo dico per dire è proprio così”. Ora Dardan ha le idee chiare, tra obiettivi e sogni da realizzare. “Il più grande sarebbe la nazionale albanese”. Magari segnare e incrociare lo sguardo di suo papà in tribuna, ripensando a quei momenti a lavoro in cui, senza saperlo, riceveva lezioni di vita.
A cura di Lorenzo Cascini