Eroe per una notte, dopo la meravigliosa rete di Neymar, il centravanti croato Bruno Petkovic ha regalato il pareggio per 1-1 ai supplementari alla sua Croazia e la possibilità di giocarsi la semifinale dei Mondiali Qatar 2022 ai rigori. Fatali per il Brasile, i croati passano il turno, tornano tra le migliori quattro del mondo e attendono la vincitrice di Olanda-Argentina. Molto lo devono, appunto, a Petkovic, eroe per una notte, che cominciò il suo cammino tra i professionisti proprio in Italia.
In particolare, la sua avventura partì da Catania, nel 2012. Un affare chiuso grazie al lavoro di una dirigenza attenta ai giovani promettenti, quando il club rossazzurro giocava ancora in Serie A. Quell’affare ce l’ha raccontato Christian Argurio, esperto di calcio croato, ex osservatore e direttore sportivo, oggi dirigente dell’area tecnica del NK Istra (club di prima divisione croata).
Christian Argurio conosce bene la Croazia, ci lavora e ci ha lavorato, ma nel 2012 era a capo della squadra di osservatori del Catania. “In quell’anno, il procuratore del calciatore di allora (Gigi Sorrentino, ndr) ci propose il nome di Bruno Petkovic. Io ho avuto la fortuna, prima di arrivare a Catania, di aver vissuto per un periodo tra Croazia e Slovenia. Conoscevo già Petkovic, l’avevo visto giocare e, quando ci fu la possibilità di prenderlo, parlai con la dirigenza e promossi il suo acquisto. Spiegai che avevo già notato le sue qualità. Merito di tutto il club aver capito le sue qualità che sono uscite fuori sempre più nel tempo“.
“Quando arrivò, venne preso per la Primavera dal Dragovoljac, una piccola squadra di Zagabria che oggi gioca in Serie B croata. Lì si divideva tra l’U19 e la Prima Squadra, era arrivato lì dalla scuola della Dinamo Zagabria, dove oggi è tornato. Se lui è arrivato in Italia, il merito è tutto di quel Catania: dal responsabile Bonanno, l’ad Gasparin, il segretario generale Borbone, merito davvero di tutti“, ha proseguito Argurio nel suo racconto.
Petkovic, quindi, nacque in Croazia ma crebbe in Italia. Ma c’è stato un momento in cui tutto stava per saltare: “Nel 2012 la Croazia era ancora un paese extracomunitario (divenne “comunitario” nel 2013, ndr), quindi non poté giocare il campionato Primavera di quell’anno per tutto l’autunno. Quindi non giocò per vari mesi all’inizio dell’anno, riuscì solo ad allenarsi, alle volte anche con la Prima Squadra. Lui soffrì molto quell’attesa, voleva giocare le partite. I croati sentono molto la competizione, la partita è importantissima, l’allenamento invece può anche scocciarli tante volte (ride, ndr)“.
“Il Catania organizzò tutto per chiudere il suo tesseramento a gennaio di quell’anno – ha spiegato Argurio – ma è vero che Petkovic arrivò quasi a pensare di non tornare in Italia dopo essere rientrato per un po’ a Zagabria. Era in difficoltà: era giovanissimo e voleva giocare. A un certo punto lo raggiunsi in Croazia, già dopo la mia precedente esperienza all’Udinese ci sono andato varie volte, e insieme al suo procuratore lo convinsi a rientrare poi in Italia. Fu cruciale il segretario Borbone nella vicenda, riuscì a chiudere tutte le pratiche affinché il giocatore potè essere tesserato dal Catania. Alla fine, ebbe anche modo di esordire in Serie A in quell’annata“.
Dopo due anni in rossazzurro, poi, ebbe modo di farsi valere di più tra Serie B e C. Anche con le maglie di molte squadre oggi in Serie D, Varese e Trapani per la precisione. In mezzo le esperienze con Reggiana e Virtus Entella. Dopo il biennio trascorso proprio al Trapani, soprattutto sotto la gestione di Serse Cosmi, si riguadagnò una chance in Serie A, dove però le parentesi con Bologna ed Hellas Verona non furono felicissime. Dopo circa 10 anni, il ritorno alla Dinamo Zagabria ha fatto le sue fortune. Gli ha permesso anche di conquistarsi la nazionale (appunto).
“Lui risaltò subito ai miei occhi – ha raccontato in chiusura Christian Argurio – perché, pur avendo una grande struttura fisica, non era il centravanti puro, una boa in area di rigore. Io lo definivo come un 9,5, perché aveva i numeri del numero 9, ma gli piaceva anche giocare il pallone come un numero 10. Non è mai stato il bomber da 15 gol fissi a campionato, ma questo perché gli piace giocare con il compagno, magari con un’altra punta a fianco. Cercava anche la giocata elegante, raffinata, era davvero una via di mezzo fra il 9 e il 10. Infatti gioca così anche oggi nella Dinamo Zagabria, gioca molto anche di sponda per gli esterni che si sovrappongono“.
Intervista a cura di Lorenzo Gentile