Immaginate di essere un ragazzo di appena 18 anni con la valigia carica di obiettivi in direzione Inghilterra. Un biglietto di sola andata, il sogno di diventare un calciatore professionista, tante incognite e il Blackburn. “Ricordo la mia prima squadra l’Atletico 2000, club vicino al quartiere dove sono cresciuto, dove come responsabili c’erano Giuseppe Giannini e Odoacre Chierico, ex calciatori della Roma. Grazie ai loro contatti avevano la possibilità di portare tanti osservatori dall’estero e da quel momento ho avuto l’opportunità con il Blackburn. Una prova di una settimana e poi la firma“. Questa è la storia di Raffaele De Vita, che ha deciso di raccontarci il suo lungo passato tra Inghilterra e Scozia.
La differenza culturale tra Inghilterra e Italia, le strutture, la Premier e gli ultimi anni tra Lupa Frascati e Anagni. Un bagaglio ricco di aneddoti, storie ed esperienze durante la lunga chiacchierata che De Vita ci ha rilasciato.
“Per l’esperienza che ho fatto nella mia carriera, posso spiegarti la grande differenza che c’è tra le leghe minori del Regno Unito e quelle qui in Italia“, esordisce De Vita ai nostri microfoni. “Non ho mai giocato in Premier e dunque non posso fare un confronto diretto con la nostra Serie A“. Per lui un lungo passato nelle serie minori del campionato inglese.
Infatti, l’ex Blackburn evidenzia i pregi della sua carriera nel Regno Unito: “Ho avuto la fortuna di giocare in League One, ovvero in terza serie inglese, che per me è un altro pianeta per tanti aspetti ma non dal punto di vista qualitativo. La Serie C e la Serie D sono, per esempio, piene di ottimi calciatori. In Inghilterra sono le strutture a fare la differenza. Gli stadi sono sempre pieni, non solo in Premier e in Championship, e devo dire che il modo in cui si vive il calcio è molto più tranquillo. Sentivo e percepivo poca pressione perché dopo la partita i calciatori vivevano la loro vita tranquillamente“.
“La differenza principale, tuttavia, l’ho avvertita nel tifo“, ammette De Vita. “Ho giocato in piazze inglesi che sono meno conosciute in Italia, come Swindon Town e Bradford City, che nelle serie minori riempivano letteralmente lo stadio. Ho giocato partite davanti a 15000 spettatori e non è assolutamente facile. A quei livelli in Italia è impensabile. I tifosi sono molto legati alle squadre della loro città, per esempio Bradford è una città che si trova tra Manchester e Liverpool, ma tutti seguono il loro club locale“.
Riavvolgiamo il nastro e, dopo una prima infarinatura di quegli anni in Inghilterra, torniamo all’inizio. “Il Blackburn è stata la mia prima esperienza lontano da casa. Sono molto legato a quella squadra e lì ho tanti ricordi”, il club inglese ha segnato la vita, calcistica e non, di De Vita. “Parliamo del club che mi ha formato e con il quale ho passato 3 anni nel settore giovanile, uno dei più importanti in Inghilterra che ha prodotto moltissimi talenti. Io sono arrivato all’età di 15 anni e ho avuto la possibilità di conoscere e allenarmi con i calciatori della prima squadra“.
“Ho vissuto gli anni d’oro del Blackburn, che in quelle stagioni occupava stabilmente le zone centrali della classifica della Premier League“, continua. E non solo. In quella squadra erano presenti anche altri calciatori italiani. “Ero molto legato a Lorenzo Amoruso e Dino Baggio, due punti di riferimento fondamentali. In quella squadra ho inoltre avuto l’onore di giocare con tanti calciatori che successivamente hanno fatto carriera in Championship“.
Il fascino di quel campionato, tuttavia, non si arrestava al Blackburn. “La Premier nel lontano 2004 era già quel tipo di campionato nel quale tutti i calciatori avrebbero voluto giocare almeno qualche partita. Una competizione incredibile, Vialli aveva appena lasciato il Chelsea, e poi come dimenticare il Manchester United di Cristiano Ronaldo e l’Arsenal degli invincibili con Henry e Wenger“.
“Purtroppo non sono riuscito a ritagliarmi spazio in Premier con il Blackburn. All’età di 19 anni avevo davanti calciatori del calibro di Roque Santa Cruz che arrivava dal Bayern Monaco“, uno scoglio troppo grande per il nostro protagonista. “Devo essere sincero, non ero a livello e non ero pronto per giocare a quei livelli. Infatti, a quell’età diventano titolari i predestinati. Io volevo semplicemente fare esperienza. Il più grande errore dei ragazzi, che si trovano nelle grandi squadre, è proprio questo. Fin quando non riesci a disputare neanche una partita il tuo curriculum non si arricchisce“.
Qualcosa cambia: “Vedevo che nel Blackburn non c’erano sbocchi, stavo perdendo solo tempo e a quel punto ho iniziato a cercare nuovi stimoli. In quella società ho sicuramente imparato molte cose da tanti allenatori esperti, super preparati e dai ragazzi della prima squadra. Mi resi conto tuttavia che la mia carriera non stava andando avanti“.
“Alla fine è arrivata l’opportunità di trasferirmi al Livingston, in Scozia, in una società completamente italiana”. Una squadra che regala a De Vita la prime vere soddisfazioni in carriera. “Il Livingston mi ha lanciato tra i professionisti, all’epoca era stata prelevata da poco da un consorzio italiano di imprenditori romani. L’allenatore era Roberto Landi, che veniva da molte esperienze all’estero. Ho indossato quella maglia 6 lunghi anni“.
Come accennato in precedenza, tutto è iniziato dalla sua città natale Roma. “Ho iniziato a muovere i primi passi in questo sport a Roma, una città piena di società locali e scuole calcio spesso gestite anche da ex calciatori”. Una squadra su tutte ha rapito il suo cuore. Lì tanti ex calciatori. “Ricordo la mia prima squadra l’Atletico 2000, club vicino al quartiere dove sono cresciuto, dove come responsabili c’erano Giuseppe Giannini e Odoacre Chierico, ex calciatori della Roma. Loro restano i miei maestri perché mi hanno insegnato tanto. Grazie ai loro contatti avevano la possibilità di portare tanti osservatori dall’estero e da quel momento ho avuto l’opportunità con il Blackburn. Una prova di una settimana, poi ho firmato e sono partito per l’Inghilterra“.
Il ritorno in Italia e il sogno di terminare la carriera in Inghilterra: “Sono stato 20 anni lontano dall’Italia, la scelta di tornare è stata un po’ dettata da elementi esterni. Il Covid che ha isolato la mia famiglia, la nascita di mio figlio e allo stesso tempo è diventato complicato non avere vicino gli affetti dei nostri cari. Avrei voluto finire la carriera in Inghilterra, ma per motivi personali ed extracalcistici, anche mia moglie è di Roma, ho preferito e compreso che questo non sarebbe stato possibile. L’opportunità con la Lupa Frascati l’ho subito accettata“.
Oggi, Raffaele De Vita è un calciatore dell’Anagni in Eccellenza. I suoi obiettivi nel calcio non finiscono sicuramente qui. “Oggi gioco nell’Anagni in Eccellenza, una società che sto imparando a conoscere ogni giorno e con la quale sto iniziando a familiarizzare con la sua storia. Questa è una realtà che punta ad andare in Serie D. Tuttavia, questa stagione è iniziata male perché a novembre ci siamo trovati addirittura penultimi. Ora la musica è cambiata, veniamo da 11 risultati utili consecutivi e dobbiamo cercare di sfruttare questo momento positivo“.
“Io mi diverto ancora a giocare e fin quando sentirò di poter dare qualcosa in questo sport continuerò tranquillamente. Per adesso voglio dare una mano ai giovani, cerco di fargli capire di apprezzare ogni momento in cui hanno la possibilità di allenarsi e giocare. Molte cose le prendi per scontate, bisogna apprezzare ogni istante della propria carriera. La tripletta dell’ultima gara? La dedico a mio figlio, lui mi è sempre vicino e spero di potergli dedicare presto un altro gol“, conclude De Vita.
A cura di Ettore Aulisio