“Tutti hanno dei sogni da realizzare”. Piedi al suolo. Ben saldi a terra. A parlare è Simone Seccardini, l’allenatore di un Atletico Ascoli che, come nelle favole più travolgenti, sta stupendo tutti. Una vera e propria ‘prima volta’. Sia per il club, al suo esordio assoluto nel campionato di Serie D. Che per il suo timoniere: la mattina è un impiegato tecnico in ufficio. Nel pomeriggio indossa la tuta e scende in campo con i suoi ragazzi. Senza trascurare la compagna, Francesca, e la piccola Sofia, “la mia prima tifosa”.
Tanta consapevolezza. Condita dalla voglia di raggiungere l’obiettivo prefissato: la salvezza. “Sin dal primo giorno in cui la famiglia Giordani (presidente, ndr) mi ha concesso questa opportunità, ho percepito il valore umano dei ragazzi “. Esatto. Perché Seccardini siede sulla panchina dell’Atletico Ascoli a stagione iniziata, dopo l’esonero di fine ottobre di Sergio Pirozzi. “Quando sono arrivato ho trovato un gruppo sano. Pirozzi? Nonostante l’ottimo lavoro portato avanti, stava pagando oltre le proprie responsabilità il salto di categoria”.
L’ex allenatore è comunque entrato nella storia del club, avendo guidato (nella parte finale dello scorso campionato) l’Atletico Ascoli alla vittoria del campionato di Eccellenza. “Con lo staff e il Direttore Mario Marzetti abbiamo intrapreso un nuovo percorso tecnico-tattico. Al momento siamo abbastanza soddisfatti di quanto raggiunto”.
‘Davide supera Golia’. Quante volte vi sarà passato per la mente leggendo i numeri dell’Atletico Ascoli. I bianconeri militano nel girone F (che vanta piazze del calibro di Campobasso, Samb, Chieti, L’Aquila e Fano). Ma nonostante ciò riescono a divincolarsi. “Competere con squadre blasonate, davanti a un gran numero di spettatori, può incidere negativamente sotto l’aspetto emotivo – dice Seccardini, che aggiunge – soprattutto nei ragazzi più giovani”. Ma ecco il rovescio della medaglia. Già perché, contro le piazze sopracitate, raccoglie 12 punti in 8 partite (ancora da giocare le sfide di ritorno contro Samb e Fano). Metà bottino raccolto senza mai perdere. Chapeau. “Giocare in questi contesti ci obbliga a mantenere un livello di concentrazione elevato. Ottenere risultati in campi prestigiosi è sempre un piacere – ma tornando all’umiltà – ogni singolo punto ha un peso fondamentale“.
E non mancano gli incidenti di percorso. Com’è normale che sia. Nell’arco del campionato, Seccardini rimedia due espulsioni che lo stesso reputa “ingiuste. Né io né i ragazzi ci siamo macchiati di condotte non consone ai ruoli che ricopriamo”. Ma con calma e consapevolizza, si raccolgono i ciotti e si riparte. “Solitamente preferisco non parlare della classe arbitrale, anche loro possono sbagliare. Ogni giorno cerchiamo di allenarci e migliorarci al massimo delle nostre possibilità, con grandi sacrifici anche da parte della proprietà. Quando capitano determinati episodi, che non devono costituire alibi, non sempre si riesce a mantenere un comportamento irreprensibile”.
‘Una vita in bianco e nero’. Per alcuni è una leggenda, per altri il titolo di un romanzo. Per Seccardini è la quotidianità. Il 40enne nasce ad Ascoli Piceno. Da sempre tifoso del ‘Picchio’, club nel quale ha lavorato in passato. “Ho avuto il privilegio di allenare le giovanili della squadra della mia città”, senza dimenticare la parentesi come collaboratore della prima squadra con Davide Dionigi. “Dopo dieci anni consecutivi, il management dell’Ascoli ha fatto legittimamente delle scelte diverse e io ho avuto la fortuna di entrare a far parte di questa meravigliosa famiglia”.
Il bianconero scorre (ancora) inesorabile nelle vene di Simone. E con esso, l’irrefrenabile voglia di conoscere. Di imparare. “Quando ci si avvicina a questo mestiere, lo si deve fare partendo da ciò che si ama – dice Seccardini – Poi serve lo studio, mettersi costantemente alla prova. Nessun essere umano può insegnare e trasmettere una cosa che non ama. Che non avverte sua”.
“In questo senso – continua – mi ispirano gli allenatori che promuovono le relazioni dentro e fuori dal campo. Che non dicano ‘come fare’ una certa cosa. Un allenatore che veda il gioco dal punto di vista estetico e che curi il micro dettaglio, consapevole che durante la gara ciò che è stato fatto e visto in settimana potrebbe non manifestarsi”.
Dalla teoria alla pratica. “Qualche nome? Apprezzo Massimiliano Bellarte (allenatore della Nazionale italiana di calcio a 5, ndr) per l’approccio sistemico al gioco e la considerazione che assegna all’ambiente. Ma anche Roberto De Zerbi, Pep Guardiola e Fernando Diniz per il rispetto del gioco. Luis Enrique e Paulo Sousa per come parlano del gioco. Marco Rose e Henrik Rydström per il coraggio nella proposta. Unai Emery, Maurizio Sarri e Simone Inzaghi per la capacità e l’umiltà che hanno avuto nel diversificare. José Mourinho e Massimiliano Allegri per la capacità di imporre le proprie idee”.
Pochi concetti. Chiari ed efficaci. Ora tocca a Simone metterli in atto.