Dalla Serie A alla D, l’ex Palermo sogna ancora
De Zerbi ha voluto aspettare. Era pronto a far esordire in Serie A quel ragazzo con la maglia numero novantotto sulle spalle, ma ha aspettato. Per vari motivi. Nella trasferta di Cagliari la squadra ha perso. Poi era una trasferta, appunto. Il primo passo di quel giocatore invece sarebbe dovuto avvenire al Barbera. Perché Simone Lo Faso a Palermo ci è nato, ci è cresciuto e per quelle vie dove si sente l’odore del mare ha giocato a calcio. Sette giorni dopo, il Palermo affronta il Milan. Lo Faso gioca in Serie A sotto gli occhi della sua gente.
Immaginate di essere Simone Lo Faso in quel momento. A breve sarebbe arrivata la chiamata della Fiorentina di Pioli. In Europa vi cerca il Monaco, in Italia il Milan. All’improvviso però, il piede si gira, la caviglia si rompe. Tutto crolla, come se fosse un castello di carte. La speranza si trasforma in compassione. Lasciare il calcio sarebbe stato semplice. Forse troppo.
“Vivo di ambizioni, finché sono accese non posso smettere di sognare. Rientrare, fare gol e vincere con il Livorno dopo un mese è stato bello”. Sono queste le prime parole del ragazzo nell’intervista esclusiva di SerieD24.com. Vivere di ambizioni. Lo Faso gioca in Serie D con l’Unione Sportiva Livorno. Nelle parole c’è tutta la lucidità di chi ha saputo rialzarsi. Ricordi che ci hanno accompagnati in un viaggio nel passato, ma sempre con lo sguardo rivolto al futuro. Perché Simone Lo Faso non vuole smettere di sognare.
Da Palermo a Siena, guidato dai sogni
Sole, cortile e un pallone. Basta poco per accendere i sogni di Simone Lo Faso. In quei giorni non c’erano allenatori né obiettivi: solo la semplicità di un bambino che stringeva il pallone sotto il braccio. “Non c’erano scuole calcio vicino a casa mia, giocavo in strada o al parco, poi ci siamo trasferiti e mi sono iscritto. Nelle amichevoli con il Palermo io riuscivo sempre a segnare. Mio padre lavorava e non aveva modo di vedermi alle partite. Una volta, quando ero piccolo, l’allenatore lo invitò al campo, ma eravamo in ritardo. La squadra stava perdendo, entrai, segnai cinque gol e recuperammo. Quando sei bambino è ancora più bello giocare, è diverso, giochi con leggerezza, senza pensieri”.
Qualità e personalità. Simone Lo Faso era ancora piccolo ma sul campo faceva già la differenza. A tredici anni, la prima chiamata dalla Toscana. Siena era una sfida per lui. Lontano da Palermo. Simone accettò. “In quel momento il Siena era in Serie A ed era uno dei migliori settori giovanili. Ero lontano da casa, inizialmente soffrivo ma all’età di 13 anni cucinavo e mi facevo il letto. A gennaio tramite il direttore Baccin ottenni il primo contratto. A quel punto mi dedicai al 100% sul calcio”. Simone lasciò la Toscana. Fu soltanto un arrivederci. Ma non poteva ancora saperlo.
Il ritorno a Palermo, De Zerbi e la Serie A
Palermo chiamò. E Simone Lo Faso tornò a casa sua, davanti al suo mare, per vestire di nuovo la maglia rosanero. Passo dopo passo. Arrivando fino alla Primavera. In prima squadra nella stagione 2016/2017 si alternarono diversi allenatori. Uno in particolare venne catturato dalla qualità di questo ragazzino. Roberto De Zerbi sentiva parlare di lui. Il campo non faceva altro che confermare: a Palermo era nata una stella.
“Tornato a Palermo mi sono proiettato nel calcio dei grandi. De Zerbi lo sento spesso. Per me è stato un padre calcistico, ero giovane ma già avevo capito che quell’allenatore era un fenomeno. Ricordo che giocavamo un Cagliari-Palermo, poi avremmo affrontato il Milan. Mi riscaldai senza entrare. Dopo la partita De Zerbi mi chiamò in uno stanzino dicendomi che non voleva rovinarmi un esordio con la sconfitta e di prepararmi in vista della partita contro il Milan“
“Diamanti in quella settimana, dopo ogni partitella, diceva a De Zerbi di farmi giocare. Parliamo di un allenatore che lavora su ogni dettaglio, non a caso oggi tiene testa al Liverpool in Premier League. Un’altra figura essenziale per me è stata Gianni Di Marzio. Quando ero a Palermo mi disse che la prima giocata nella mia mente il calciatore di Serie A l’aveva già letta, e di fare quindi l’opposto. Ancora oggi mi porto dietro questa frase. Sono persone che fanno bene al calcio”.
Un palermitano nel Palermo. Dalle strade della sua città al prato del Renzo Barbera. La maglia era la stessa che da piccolo portava in cortile. I sogni si erano realizzati. “Se ci penso mi vengono i brividi. Sono partito dai pulcini, facevo il raccattapalle, vedevo lo stadio pieno, il Palermo di Miccoli, Dybala, Pastore. Giocare per la città dei miei genitori, dei miei amici è il massimo dell’ambizione”.
Firenze, la Serie A e il ricordo di Davide Astori
Da questo capitolo il treno dei ricordi aumenta la sua velocità. La Toscana chiama, di nuovo. Questa volta è la Fiorentina. Simone Lo Faso non ci pensa due volte e comincia a giocare sotto l’ombra di Santa Maria in Fiore. “C’erano tante voci che mi accostavano al Monaco o al Sassuolo. Dopo un’amichevole con la Nazionale Pastorello, che al tempo era il mio procuratore, mi chiamò dicendomi che avrei potuto firmare subito con la Fiorentina. Presi il treno da Roma e invece che tornare verso l’aeroporto, andai subito a Firenze“.
La Serie A, lo stadio “Artemio Franchi”. Sembrava di vivere un sogno. Invece era la realtà che il ragazzo si era costruito partita dopo partita. Tutto era perfetto per volare. E quando Lo Faso parla della sua esperienza viola, c’è un solo nome che gli ritorna in testa: quello di Davide Astori. “Il primo pomeriggio arrivai al campo e c’era Davide. Fu lui insieme a Saponara ad inserirmi nello spogliatoio viola. Era il primo che scherzava e il primo a diventare serio quando c’era da lavorare. Davide era un vero e proprio capitano, era una persona splendida, generosa. Ogni volta che parlo di lui dentro di me nasce qualcosa di così forte che faccio fatica ad esprimere. Per questo ho deciso di tatuarmi il tredici. Ancora oggi ho un bel rapporto con Saponara, Biraghi, Benassi, siamo molto uniti anche per tutto ciò che successe quella stagione”.
La caviglia si rompe, tutto si ferma
Un respiro. Lo stadio è pieno. Lo speaker annuncia il nome che rimbalza dalla tribuna alla linea del centrocampo. Il cuore aumenta il battito. Fuori Federico Chiesa, dentro Simone Lo Faso. Prima partita con la maglia della Fiorentina. Vivere un sogno. “Entrai al posto di Chiesa e mi guadagnai trenta minuti in cui volevo dimostrare a tutti il mio valore. Ebbi molta pazienza, da ottobre tornai in campo a marzo. Pioli aveva fiducia in me e diceva che mi avrebbe fatto giocare. Dopo la seconda partita però, in un allenamento, mi ruppi il perone della caviglia. Iniziò un lungo calvario”.
Quanti pensieri possono passare nella testa di un ragazzo in momento del genere? Contarli è impossibile. La luce delle giocate che illumina i volti scompare. Gli sguardi si caricano di compassione. Tutto crolla. Che ne sarà del sogno?
“Era tutto così bello che con il tempo devi metabolizzare e fare una scelta: vivere nei ricordi o non accontentarsi. Per me la testa è il 90% di un giocatore. Tanti non escono dal tunnel degli infortuni, io fortunatamente mi sono rialzato. L’importante è saperle affrontare ed uscirne nel migliore dei modi, essere sicuro di poter tornare su quei campi. Ma se oggi ti dicessi che tutto ciò mi sta bene non sarei coerente con me stesso“.
“Per questo – prosegue – sono felice di stare a Livorno, perché qui sembra di giocare nei professionisti. Una piazza del genere, con dei tifosi così attaccati alla maglia, brave persone, sono fattori che permettono ad un giocatore di esprimersi al meglio. Qui si respira calcio. Per questo voglio crescere insieme ai miei compagni e raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti. Intanto voglio crescere con il Livorno, concentrarmi sul presente”. Vivere qui e ora. Unico assioma valido per ripartire.
Tre anni, undici presenze. Dalla Serie A alla D
Tre anni, dalla Serie A alla Serie C e lo stop prolungato per la pandemia. Dal 2018 al 2021 Simone Lo Faso scende in campo undici volte. Passerà dal Palermo al Lecce con una parentesi al Cesena. Decide di ripartire dalla Pistoiese, ma la scintilla fatica a riaccendersi. Così quel ragazzo che aveva calpestato il campo del “Barbera” e del “Franchi” nel massimo palcoscenico nazionale si ritrova in Serie D, nella Folgore Catarese. Su di lui non ci sono più i riflettori di qualche anno prima. Sembra quasi un’altra vita. Anzi, per Simone è un’altra vita.
“Marco Pizzo mi disse che ci sono giocatori che pur non avendo mai fatto le giovanili, hanno esordito in Nazionale maggiore. Questa è la sintesi della mia carriera. Ci sono dei giocatori che partono dalla D per arrivare alla Serie A, ma purtroppo esistono giocatori come me che fanno il percorso inverso. L’idea è quella di invertire nuovamente la rotta. Vivere con le prospettive passate è sbagliato, adesso voglio concentrarmi al 100% alla Serie D qui a Livorno. Non voglio giocare con il ricordo di Simone in Serie A, ma stare nel presente e migliorarmi“.
Lucidità. Quella di un ragazzo che stringeva nelle proprie mani il sogno di una vita e che si è sgretolato in un pomeriggio fiorentino. Simone Lo Faso è giovane ma sa perfettamente che il passato non si cambia. E che il futuro lo attende.
Ripartire da Livorno
Ripartire. Perché in fondo l’unica stella polare è la passione. Simone Lo Faso vuole riscrivere il proprio destino a Livorno. Sempre con il mare davanti. La classifica vede la Pianese, capolista, a undici punti di distanza. Ma il calcio è fantasia e tutto può succedere.
“Livorno è una piazza esigente. Collacchioni? Mi spiace che il rapporto sia finito, ma fa parte del calcio. Sono contento di aver regalato la prima vittoria a Esposito con il gol. Il calcio per me è fantasia, divertimento. Con questo spirito dobbiamo scendere in campo. Dal punto di vista personale voglio segnare di più, questo campionato è imprevedibile e noi vogliamo inseguire il primo posto”.
Lasciare il calcio sarebbe stato facile, forse troppo, per un ragazzo che vive di ambizioni. Da quel giorno del Barbera ne è passato di tempo. Alcune luci si sono spente. I sogni sono stati riformulati. Ma non importa. Perché Simone Lo Faso non smetterà di sognare, mai. E il futuro lo attende, come quando giocava nelle strade di Palermo.
A cura di Jacopo Morelli