Capitano nelle giovanili del Palermo (ai tempi in Serie A), le convocazioni in Nazionale con Petagna, Gollini, Romagnoli e Sensi per citarne qualcuno, lo scudetto sfiorato con il Torino Primavera di Aramu e altre avventure prima dell’inizio del calvario. Quattro interventi subiti a 19 anni e una carriera calcistica interrotta presto, forse troppo: Vito Migliore si è raccontato a 360° a seried24.com. “Anche con quattro interventi ho provato a reagire, ma mi rendevo conto di avere difficoltà fisiche e mentali, perché non riuscivo più a fare ciò che volevo e venivo anche gestito diversamente. Sono subentrati tanti aspetti e alla fine ho deciso di smettere”.
Dalla voce di Vito traspare un filo di tristezza per ciò che poteva diventare, ma che alla fine non è stato per i tanti problemi fisici. Da lì però è iniziata una nuova vita per lui, in mezzo ai bambini. “Da lì ho iniziato una sfida contro me stesso, perché volevo continuare nell’ambito calcistico. Adesso insegno a Milano, vivo a Sesto San Giovanni e collaboro con la Pro Sesto, dove mi occupo della parte motoria della categoria U12. La mia priorità ormai è la scuola, ma nel pomeriggio voglio trasmettere i sani principi ai bambini”. Dai suoi inizi al Palermo al nuovo ruolo di istruttore ed educatore, passando per l’avventura al Torino e tante altre esperienze: la nostra intervista a Vito Migliore, ex promessa del calcio classe ’95.
La sua carriera inizia nelle giovanili del Palermo, dove Vito Migliore rimane quattro anni indossando pure la fascia da capitano. “A Palermo ho ricordi meravigliosi, ho avuto allenatori che mi hanno dato tanto, tra cui Dario Golesano. Ho vissuto momenti bellissimi e sono stato convocato tre volte in Nazionale, dove ho condiviso lo spogliatoio e la stanza con Romagnoli, Cristante, Petagna, Sensi, Gollini e tanti altri”.
Sembrava essere il trampolino di lancio, poi il primo infortunio di una lunga serie. “È stata una bellissima esperienza, ma a 16 anni ho subito il primo intervento. Da lì è iniziato il mio calvario. Un estate mi mandarono in ritiro con la Primavera, ma si vedeva che avevo difficoltà fisiche, avevo pagato il primo infortunio. Così decisero di dare opportunità ad altri ragazzi che stavano meglio fisicamente”.
“Inizialmente pensai a una sconfitta personale, perché volevo raggiungere la massima serie e invece sono sceso in D, dove comunque avrei giocato sotto età”. Commenta così Vito Migliore il suo passaggio alla Nissa, dove si trasferisce in Serie D nel 2012/13 e con cui gioca sotto età fino a dicembre. “Alla fine è stata un’esperienza costruttiva grazie soprattutto al mio allenatore, Tarcisio Catanese. Purtroppo oggi non c’è più, ma è sempre nel mio cuore. Sin dal primo giorno mi mise a mio agio, mi spingeva a osare. In questi contesti non è semplice trovare un allenatore che si assume le responsabilità al tuo posto– dichiara Migliore – Mi trasmetteva sicurezza, è stata una persona fondamentale nel mio percorso calcistico. Lui mi ha aiutato a inserirmi in un contesto di gente più grande, che a fine mese portavano il pane a casa alla famiglia”.
“Sono stati quattro mesi bellissimi, dove ho avuto modo anche di confrontarmi con compagni di squadra di culture diverse. Lo sport è una palestra di vita, dove ti confronti con realtà differenti. Quella è una fortuna, ma spesso questo aspetto viene trascurato, perché il calcio viene visto solo come un successo personale”. A dicembre Vito Migliore dice addio alla Nissa, per trasferirsi al Milazzo, in Serie C. “Andai a Milazzo grazie al direttore Pietro Lo Monaco. Lì conobbi il mister Francesco Tudisco e il direttore Mario Marino, una persona che rispetto tantissimo. Anche lì però mi infortunai: era l’ultima di campionato contro il Monza. Inaspettatamente arrivò però la chiamata del Torino, che ovviamente accettai subito”.
Un altro grave infortunio a soli 18 anni e l’ennesimo intervento: nella testa di Vito Migliore iniziano a sopraffare i primi pensieri negativi, poi all’improvviso suona il telefono. “Pronto, sono Moreno Longo. Ti ho visto giocare e voglio che tu venga qui, c’è un progetto vincente e tu devi farne parte”. Attuale allenatore dell’Alessandria e ai tempi allenatore del Torino Primavera, Longo telefonò personalmente a Migliore per ingaggiarlo. Lui, ovviamente, accettò. “Durante la preparazione ebbi però l’ennesima ricaduta e subii un altro intervento, dove le cose non andarono benissimo. Mi trasferii a Brescia per recuperare con dei professionisti, tra cui Stefano Brasetti, personal trainer di Balotelli e amico con cui sto portando avanti un progetto di tecnica individuale per i bambini nell’attività di base. Lui continua a guidarmi nell’ambito motorio”.
In quel Torino ci giocava gente come Aramu, Gyasi e Barreca per citarne tre. “Le qualità tecniche di ognuno di loro sono indiscutibili, ma ciò che mi colpiva personalmente era la fame che avevano. Il merito era di Moreno Longo, che inculcava una mentalità pazzesca – spiega Vito Migliore – Gestiva il gruppo come nessuno, faceva sentire tutti importanti e nessuno si sentiva un titolare. Anche Mattia (Aramu, ndr), Gyasi avevano fame, nonostante fossero sopra la media. Erano già pronti per una prima squadra, ma dopo il Torino scesero nuovamente in categorie inferiori, andando in Lega Pro. Poi ripresero la gavetta e adesso sono lì grazie alla fame che li ha sempre contraddistinti. Non ho mai avuto invidia nei loro confronti, anzi ho solo provato ammirazione”.
Nonostante si trovasse in un contesto ideale per venir fuori, per Vito Migliore non fu un’annata positiva a causa dei tanti infortuni. Il talento, le qualità tecniche e la voglia però avevano colpito tanto Moreno Longo, che dopo l’infortunio lo richiamò. “Mi disse che voleva portarmi alle fasi finali per lo scudetto. Ci teneva tantissimo, al punto che io mi impegnai e riuscii a recuperare. Poi purtroppo abbiamo perso la finale ai rigori contro il Chievo, ma che esperienza!”.
Poi Vito Migliore si sofferma un attimo su Mattia Aramu, inevitabilmente uno dei giocatori che lo ha colpito di più. “Con lui ho condiviso anche la Nazionale negli anni precedenti. Ha delle doti incredibili, fa ciò che vuole con quel mancino, ma soprattutto – ripeto – aveva fame e cattiveria di arrivare. Probabilmente lì il merito è anche del Torino, ti insegnano la cultura del lavoro”.
Le qualità tecniche e umane c’erano, ma purtroppo i troppi problemi fisici non permettono a Migliore di continuare la sua avventura al Torino. La scelta di abbandonare il calcio era adesso più di un’idea, ma nonostante tutto c’era ancora chi credeva in lui. “Dopo l’esperienza al Torino, Lo Monaco (presidente dell’ACR Messina) e Fabrizio Ferrigno (direttore sportivo dell’ACR Messina) credevano ancora in me. Io non volevo più giocare, stavo male fisicamente e mentalmente. Grazie a Lara Palmegiani – che mi ha assistito sia al Torino che a Messina – andai a provare. Dopo 10 giorni l’allenatore Gianluca Grassadonia e il DS Ferrigno mi dissero di firmare“.
In C, a 21 anni, probabilmente chiunque vorrebbe firmare e giocarsi le carte nel professionismo, Vito Migliore no. “Io non volevo. I miei genitori mi chiesero il motivo, gli spiegai che stavo male e l’intensità era alta. Lo Monaco mi convinse a firmare, ma giocai solo 15 minuti in Coppa Italia. Poi mi lesionai il soleo accessorio e iniziò un altro calvario“. Nonostante tutto, anche a Messina ha lasciato tanti amici tra i compagni di squadra. “Ho conosciuto tante belle persone come Giorgio Corona, Saro Bucolo, Luigi Silvestri e tanti altri. Voglio però anche ringraziare il mio amico Saša Bjelanović, che mi mandò da un professionista per iniziare la terapia. In seguito mi dissero che dovevo operarmi, era il quarto intervento a 19 anni. Lì decisi di smettere, riprovai un anno in Eccellenza ma non reggevo più, la mia carriera è finita a 21 anni”.
“Ho subito quattro operazioni a 19 anni, avevo bisogno di ritrovare energie e motivazioni. Volevo rimettermi in gioco nel calcio, che è la mia passione”, ci spiega Migliore. “Lì devo ringraziare i miei genitori, che mi hanno trasmesso l’importanza della vita. Io non riuscivo a reagire, per fortuna avevo gli amici e la famiglia accanto a me”.
Migliore riesce a ripartire, lo fa dalle origini, da una scuola calcio vicino casa. “Quando smisi di giocare fui coinvolto in un progetto del Terzo Tempo, scuola calcio guidata dal direttore Filippo Pergolizzi e dal presidente Fortunato Cilluffo. Intrapresi questa nuova avventura in nuove vesti e poi riuscii a conseguire anche la licenza UEFA B – spiega Vito Migliore – In seguito ho collaborato anche con la Fortitudo Bagheria del presidente Pierandrè Figlia, con Christian Terlizzi direttore sportivo. Lui è un amico, è una persona che stimo molto e che anche via telefonica riesce a trasmettermi ancora il suo sapere. Sto apprendendo moltissimo da Terlizzi”.
Un percorso in evoluzione per Migliore, che afferma: “Sto cercando di crescere dal punto di vista calcistico, in modo da trasmettere ai bambini i sani principi umani e sportivi. Per me non è stato facile, visto quello che ho passato. Sono passato dai successi alla paura, smettere di giocare per me è stato terribile”.
“Ai tempi del Palermo, i miei genitori mi dicevano ‘le cose vanno bene, ma mi raccomando la scuola’. Non è da tutti, ma oggi li ringrazio”. Vito Migliore li ringrazia più di una volta, sempre con un filo d’orgoglio che traspare dalla voce, e lo fa perché se oggi è laureato in scienze motorie è anche per la spinta che i suoi genitori gli hanno dato. “Adesso insegno a Milano, vivo a Sesto San Giovanni, ho trovato un accordo con la Pro Sesto – squadra di Lega Pro – e mi occupo della parte motoria per la categoria U12. Ho collaborato anche con il Novara, ma la mia priorità rimane la scuola. Nel tempo libero mi diverto a insegnare cosa significa fare sport ai bambini“.
Poi per un attimo si ferma, ripensa a qualcosa. Quel qualcosa era il calcio giocato. “Dal punto di vista calcistico c’era grande volontà da parte mia di continuare, perché c’era passione e non volevo mollare. Non so se un giorno avrei giocato in Serie A, ma la voglia non mancava. E quella è più importante delle qualità. Lo dico sempre ai bambini, per raggiungere un obiettivo serve principalmente la volontà di farlo”.
Al termine dell’intervista c’è un clima più disteso, Migliore parla come se ci si conoscesse da vent’anni e tra una curiosità e l’altra, ci dice quali compagni di squadra l’hanno impressionato di più. “Il giocatore più forte con cui ho giocato è Accursio Bentivegna, ai tempi del Palermo mi ha colpito tantissimo. Aveva delle doti incredibili, metteva quella fantasia che ormai difficilmente si vede – spiega Migliore – Cercava sempre l’uno contro uno, creava superiorità numerica, osava sempre. Spero che alla lunga lui possa uscire fuori, quest’anno ha fatto bene in C con la Juve Stabia. Poi vabbè, Aramu non lo scopro di certo io (ride, ndr). Ma ce ne sono tanti eh, un altro mostro tra i pali era Gollini“.
Non vuole dimenticare nessuno, ma lo fa con sincerità. Vito Migliore ricorda tutto dei suoi ex compagni di squadra. “Al Palermo mi hanno colpito tantissimo anche Andrea Accardi – che gioca ancora lì – e Luca Fiordilino. Loro avevano ottime qualità tecniche, ma il sacrificio e la voglia superava il loro talento. Così come al Torino, oltre ai più noti Aramu, Gyasi e Barreca, anche Luca Parodi – con cui sono ancora in contatto – aveva una voglia incredibile di arrivare. Oggi lui gioca con l’Alessandria in Serie C, dove l’allenatore è proprio Moreno Longo”.
Per concludere, Vito Migliore ci parla dei suoi obiettivi futuri nelle nuove vesti da educatore e istruttore. “Il mio obiettivo è quello di crescere giorno dopo giorno. Come ogni bambino ho voglia di sognare. Io credo in quello che faccio e voglio arrivare a traguardi importanti, ma dipende da me – dichiara l’ex centrocampista della Primavera del Torino – Devo apprendere, ascoltare, crearmi le opportunità. Non ho mai chiesto niente a nessuno, mi piace crearmi l’opportunità appunto, come ho fatto a Novara. Ho conseguito il patentino di UEFA B, ho conseguito un Master a Coverciano. Così farò in futuro. Poi vedremo, ci credo e non voglio crearmi alibi di nessun genere”.
Continua a non sbilanciarsi, allora la domanda diventa esplicita: “Dove sogni di arrivare e allenare un giorno?”. Con sincerità e schiettezza, Vito risponde: “Ho un obiettivo specifico, ma al momento non voglio dichiararlo per scaramanzia. Il mio sogno è comunque quello di continuare con i bambini, è quello il mio posto. Mi sento a mio agio. Ambisco a società importanti, ma se non dovessi riuscirci continuerò ad allenare”.
Dopo un periodo buio, condizionato dalle tante operazioni in pochissimo tempo e in giovane età, adesso Vito Migliore è rinato. Si sente e si percepisce dalla voce, diversa e più allegra rispetto all’inizio, quando raccontava i suoi infortuni. Ha sognato di diventare calciatore e adesso fa di tutto per trasmettere quel sogno ai tanti bambini che durante il giorno incontra: “Finché vedrò brillare gli occhi dei miei allievi mentre li alleno, continuerò. Quando svanirà tutto ciò mi farò due domande. Adesso sono felice così”.
A cura di Domenico Cannizzaro